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Nell’età dei lumi la melanconia oscilla tra sofferenza e gioia. È il sentimento dell’abituale imperfezione dell’uomo ma anche la voluttà di un rimpianto accompagnato da ricordi piacevoli. È memoria di un lontano bonheur (cui si sa che bisogna rinunciare per sempre) e anche una sorta di convalescenza dell’anima (in cui una singolare felicità nasce dalla propria ‘infermità’). Raffigurata nelle sue molteplici forme (mélancolie noire, spleen, vapeurs, mélancolie douce), la melanconia settecentesca rivela una sua costitutiva ambivalenza, mostrandosi contemporaneamente, causa di follia e di genialità, di dolore e d’inatteso piacere.
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Il libro muove dall'assunto che nel XVIII secolo francese la melanconia sia la faccia in ombra della felicità, che bonheur e mélancolie, cioè, pur essendo due, siano legate (come ricorda Platone nell'esordio del Fedone) "a un unico capo". Nell'età dei lumi (sottolinea Enzo Cocco) la melanconia è termine (e idea) dai molteplici significati. Ai confini della medicina e dell'arte, della filosofia e della letteratura, essa è espressione del mal di vivere (espressione coniata da Maupertuis nel suo Essai de philosophie morale). Essa si presenta come "la privazione di un bene una volta posseduto": dice la mancanza, che è uno stare tra un passato ("cui si sa che bisogna rinunciare per sempre") e un futuro che si avverte incerto e lontano dall'attesa e dalla speranza. Raffigurata in forme molteplici, la melanconia dell'età dei lumi (come ricorda Saint-Lambert con la voce mélancolie dell'Encyclopédie di Diderot) è capace di offrire all'uomo un sentimento dolce della sua esistenza, che lo sottrae al turbamento delle passioni e "lascia assaporare i piaceri delicati dell'anima e dei sensi". Questa immagine ambigua (non univoca) della melanconia settecentesca è presentata nel volume attraverso la descrizione delle sue molteplici forme (mélancolie noire, spleen, vapeurs, mélancolie douce), che rivelano la costitutiva ambivalenza della melanconia occidentale, causa, contemporaneamente, "di follia e genialità, di dolore e d'inatteso piacere". È un libro appassionante, dunque, che unisce alla lettura attenta e scrupolosa dei testi una forma di particolare intelligenza nell'interpretazione di essi. L'autore, Enzo Cocco, non è uno di quei settecentisti eruditi e un po' noiosi (benché preziosi per il loro lavoro). È un settecentista, uno studioso di filosofia anche del Settecento, che dal mondo contemporaneo (dai suoi problemi, dalle sue ansie, dalle sue angosce) trae una singolare capacità di leggere i testi e d'intuirne i più nascosti percorsi.
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