Rivoluzionari si nasce e comunisti si può restare per sempre. Quelli che, come Pietro Secchia, hanno vent'anni quando il fascismo prende il potere, non cambieranno mai idea. Non importa se per tutta la vita resteranno rivoluzionari senza rivoluzione, comunisti senza comunismo. Oltranzisti, ultraradicali, settari incalliti: scelgono la vita dura dei rivoluzionari professionali. All'inizio degli anni venti il partito manda molti di loro a Mosca e a Pietrogrado perché guariscano dalla malattia estremistico-infantile del comunismo e diventino militanti disciplinati. Ma Secchia non va a scuola di comunismo: si forma in Italia, nel fuoco della lotta contro il fascismo. Per ricostruire la "vita di parte" di Pietro Secchia, Albeltaro sceglie una chiave innovativa: usa le stesse memorie del dirigente comunista per tracciare l'idealtipo del professionista della rivoluzione. I suoi appunti diventano così la fonte più attendibile per disegnare la parabola umana e politica di un militante duro e puro, che certo sa usare anche la satira facendo sberleffi ai fascisti sul "Galletto rosso", ma che nella buona e nella cattiva sorte sogna la conquista violenta del potere. Come in Russia. Nel biennio rosso la rivoluzione non vince. E nella battaglia di classe antifascista del biennio successivo Secchia capisce che le rivoluzioni bisogna organizzarle. Non cadono dal cielo. "Svoltista" per definizione, dopo il X Plenum dell'esecutivo dell'Internazionale, che nell'estate del '29 ribadisce la lotta al "socialfascismo", per gli irriducibili della rivoluzione come lui, sembra arrivata l'ora x. Gramsci in carcere è contro la svolta. I vertici dell'Internazionale mettono sotto accusa la direzione gramsciana e la linea di Togliatti, che però elabora prontamente la sua "svolta nella svolta": per rovesciare il "regime reazionario di massa" bisogna penetrare nelle sue stesse organizzazioni. Secchia non rinnega la linea del capo. E non lo farà nemmeno più tardi, dopo il "pugno nello stomaco" della strategia dei fronti popolari, dopo la svolta di Salerno, che definisce "una specie di colpo di fulmine che inceneriva il passato". Sarà la Resistenza la stagione eroica di chi come lui non crede nel ribellismo spontaneo del movimento partigiano e si ostina a vedere nella guerra di liberazione nazionale lo sbocco logico della linea svoltista e anche un punto di partenza per la rivoluzione socialista. Ma il vento del Nord a Roma non arriva. Responsabile dell'organizzazione centrale, diventa un uomo di apparato che non smette però di sognare la rivoluzione. Con Togliatti, i nodi verranno al pettine più tardi, nel 1951, quando si pronuncerà in direzione perché il Migliore lasci il Pci per andare a Praga a dirigere il Cominform. Togliatti resta il capo del partito, Secchia diventa da allora un sorvegliato speciale. Nel '54, dopo il caso Seniga, l'amico più fidato che scappa con l'oro di Mosca insinuando per iscritto la critica rivolta dal capo dell'organizzazione alla linea del partito, Secchia tracolla, travolto anche dalle allusioni alle sue tendenze omosessuali. Estromesso dagli incarichi di responsabilità, sopravvive a se stesso per altri vent'anni. Ma il comunismo rimane la sua cifra esistenziale. Perché rivoluzionari di professione si resta tutta la vita. Fiamma Lussana
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