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Beatles - Ernesto Assante,Gino Castaldo - copertina
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Beatles
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Beatles

Descrizione


Hanno inventato il 'beat', sono stati, assieme a Bob Dylan, i padri del rock, hanno scritto alcune delle canzoni più belle e famose del secolo scorso, hanno contribuito a rendere 'visibili' i giovani, hanno stabilito nuove regole d'abbigliamento e di vita, hanno fatto crescere i capelli a un'intera generazione, hanno cambiato alcune regole della nostra vita e molto, molto altro ancora. Il tutto con una dozzina di album, tutti passati alla storia, e in meno di dieci anni, tra il 1962 e il 1970. Un decennio rivoluzionario sotto molti punti di vista, così com'erano rivoluzionari i Beatles. Rivoluzionari erano il loro modo di stare in scena, il loro abbigliamento, i loro atteggiamenti privati e pubblici, la loro ricerca sonora, il modo di comporre, di usare lo studio di registrazione, di proporsi in pubblico, di sparire dalle scene, e la lista potrebbe continuare a lungo. La musica pop, tutta la musica pop, ha un enorme debito verso i Beatles. Non soltanto le band e gli autori che hanno deliberatamente preso spunto dalla loro lezione, ma anche chi, per contrasto, l'ha rifiutata, perché entrambi, i 'favorevoli' e i 'contrari', hanno dovuto fare i conti con gli straordinari cambiamenti, le radicali innovazioni, le incredibili invenzioni dei quattro di Liverpool. Innovazioni che hanno cambiato in maniera radicale il volto della musica popolare, l'hanno trasformata, aperta, liberata, portandola a essere arte.
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Dettagli

2014
5 giugno 2014
297 p., Brossura
9788858111697

Valutazioni e recensioni

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Massimo
Recensioni: 5/5

Uno dei libri più belli fra quelli che ho letto sui Fab4. Ho molto apprezzato la competenza con cui viene evidenziato il processo realizzativo, i "trucchi"in studio, unicità e curiosità delle singole canzoni. Interessante anche la descrizione del contesto in cui si è sviluppata la storia dei Beatles. Meno approfondito il lato biografico, giustamente a mio parere. Assolutamente consigliato ai fan!

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Arkadinr
Recensioni: 5/5

Emozionante e colta rilettura critica della straordinaria ed irripetibile epopea musicale ed umana dei Beatles e di quel periodo storico. Scritto con scioltezza e partecipazione da i più bravi giornalisti e storici musicali del Rock che il bel paese può annoverare.

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Tomas il pittore
Recensioni: 4/5

Interessantissimo percorso ragionato tra le pieghe della storia. Scritto da due colti giornalisti (forse i più colti, quando si parla di musica), questo libro non intende certo aggiungere dettagli alla sterminata letteratura sui Fab 4 ma piuttosto condurre il lettore attraverso le dinamiche compositive, le ispirazioni, le sfide creative e, perché no, le dinamiche degli equilibri emotivi che hanno portato i ragazzi di Liverpool a scrivere (a volte inconsapevolmente) la storia della musica. Da leggere assolutamente muniti di computer o tablet, per potersi ri/ascoltare ogni pezzo descritto nel libro (che, infatti, è nato come una sorta di spettacolo teatrale nel quale alla lettura dell'opera veniva affincato il supporto video/sonoro).

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Voce della critica

  "Questo libro è nato sulla base del lavoro fatto per realizzare all'Auditorium Parco della Musica di Roma dodici lezioni sull'intera discografia beatlesiana". Poco prima, sempre nell'introduzione, gli autori affermano: "Il viaggio che vi proponiamo è un viaggio mai tentato: rivivere la loro avventura nel dettaglio, minuto per minuto, nota per nota, canzone per canzone, per entrare come mai prima nei complessi meccanismi psicologici e artistici della loro produzione musicale. Questa è a suo modo una dimostrazione che i generi musicali esistono, non solo come raccolte di materiali musicali dotati di qualche affinità, ma soprattutto come sistemi di convenzioni, di 'regole del gioco'". Nessun critico o studioso di musica classica (o di jazz, o di musiche tradizionali) farebbe affermazioni così risolute se non fosse certo che sono inconfutabili, e probabilmente non costruirebbe il suo opus magnum su un ciclo di conferenze divulgative; a dire la verità, nemmeno uno studioso di popular music, ma una di quelle "regole del gioco" confina gli studiosi di popular music nell'accademia, sottintendendo che la comunicazione con il grande pubblico, che si tratti di un ciclo di lezioni o di pubblicazioni a stampa, vada affidata a chi la gestisce giorno per giorno, sui quotidiani, alla radio o alla televisione. Che quello narrato nel volume di Assante e Castaldo sia un "viaggio mai tentato" non è vero. Sul mercato italiano sono apparsi La grande storia dei Beatles di Mark Lewisohn (Giunti, 1996), che faceva seguito a Beatles. Otto anni ad Abbey Road, dello stesso autore (Arcana, 1990, strutturato "minuto per minuto"), e The Beatles. L'opera completa di Ian MacDonald (Mondadori, 1996), traduzione della prima edizione di Revolution in the Head: The Beatles Records and the Sixties (strutturato "canzone per canzone", tuttora in libreria). È vero che i testi di Lewisohn tradotti in italiano oggi sono introvabili, ma allora sarebbe stato meglio essere chiari e dichiarare di voler colmare un vuoto editoriale parziale e temporaneo. Fra i molti saggi disponibili sul mercato internazionale ci sono i due volumi di Walter Everett, The Beatles as Musicians (Oxford University Press, 1999 e 2001), Here, There and Everywhere: My Life Recording the Music of the Beatles, di Geoff Emerick (Gotham Books, 2007) e il primo volume di una serie dell'inesauribile Lewisohn, The Beatles – All These Years: Volume One: Tune In (Little, 2013), 960 pagine che arrivano alla vigilia dell'incisione di Love Me Do. Se ci potessimo fermare qui, saremmo di fronte a un cedimento alla vanità, a un'autopromozione forse comprensibile, vista la disattenzione e la disorganicità dell'impegno verso la popular music di gran parte dell'editoria italiana. Purtroppo, questo è solo l'inizio. Il libro di Assante e Castaldo è disseminato di imprecisioni, omissioni, errori davvero ingiustificabili alla luce della bibliografia esistente e della mole di informazioni disponibili in rete, e soprattutto della stima che i due hanno sempre meritato come critici; non poche volte, poi, gli errori invalidano le interpretazioni critiche degli stessi autori. Un conto è lasciarsi scappare un'inesattezza, un conto è sostenere tesi impegnative che sono fondate su informazioni false. Un esempio: occupandosi dell'album Revolver, gli autori commentano più volte il fatto che un assolo di chitarra di Paul McCartney, registrato per la prima canzone dell'album, Taxman, si trovi anche, rovesciato, nell'ultima canzone, Tomorrow Never Knows. E dicono: "Revolver apre e chiude con lo stesso assolo. Ce ne sono state di sorprendenti simmetrie nella storia dei Beatles, ma questa è una delle più sottili, perché lo stesso assolo che al dritto era funzionale a un pezzo rock, spinto, scandito da una chitarra ritmica quasi funky, al rovescio diventa funzionale nel brano più visionario, non solo di Revolver, ma anche di tutta la musica di quel tempo". Un'affermazione di un certo peso, anche perché sottintende che la collocazione delle due canzoni all'inizio e alla fine dell'album sia basata su questa simmetria "sottile", e che quindi Revolver sia già un album governato da un codice nascosto, da un concept. Varrebbe la pena di controllare. Se si inserisce in Google la stringa taxman guitar solo si accede immediatamente a un sito che riferisce di una diceria a proposito dell'assolo rovesciato di Tomorrow Never Knows, dichiarandola fasulla. Ma si può verificare facilmente a orecchio: si carica il file di Tomorrow Never Knows in un editor musicale, lo si rovescia, si ascolta quel frammento, e si trova che sì, c'è qualche analogia nel sound e nel materiale (sia pure con un'intonazione diversa), ma indiscutibilmente l'assolo rovesciato non è quello di Taxman. L'impressione che se ne ricava è che McCartney avesse "nelle dita", in quel periodo, certi licks, e che su quelli costruì entrambi gli assoli. Ma certo un'osservazione come questa, che darebbe il via a discorsi interessanti e concreti sugli stili strumentali dei Beatles, non si presta al tono enfatico al quale spesso Assante e Castaldo si lasciano andare, pieno di "assolutamente", di "straordinario", di "rivoluzionario", di "capolavoro". Ma Revolver non è l'Offerta musicale. Di incidenti come questi ce ne sono numerosi. Un altro esempio. Non è necessario possedere l'Anthology su Dvd, basta navigare su YouTube per vedere varie versioni delle riprese del concerto dei Beatles a Washington. Quello a proposito del quale nel libro si legge che i Beatles "suonarono su un palco girevole per permettere a tutti di vedere e sentire". Ma in quei filmati si vede benissimo che i Beatles suonano su un palco fisso, che solo la batteria è montata su una piccola e precaria piattaforma girevole, che spesso si incastra lasciando Ringo desolato e perplesso, mentre gli altri Beatles spostano i microfoni avanti e indietro, non per permettere a tutti di vedere e sentire, ma per rivolgersi alternatamente a due ali opposte del pubblico (era un palazzetto per il basket). Una dimostrazione notissima di quanto l'organizzazione dei primi concerti di massa dei Beatles fosse rudimentale: tutto il contrario di ciò che la frase lascia intendere. E poi, i Beatles che "facevano un uso della stereofonia decisamente sorprendente" (in Sgt. Pepper's, che fu mixato in stereo dai tecnici, in assenza dei Beatles); In C di Terry Riley, che sarebbe "un intero concerto solo su una nota" (la partitura si può scaricare da Internet, chiunque può vedere che non è fatta con una sola nota, e non è nemmeno "in do"), e così via. Un discorso a parte meriterebbero le citazioni errate o le interpretazioni equivoche dei testi, davvero incredibili, da In My Life che "parla di Liverpool, è evidente" (dove?), a Let me take you down where I'm going to in Strawberry Fields Forever (ma Lennon dice cause I'm going to), al suggerimento che Lennon in How Do You Sleep dica a McCartney: "Tu sei quello di 'Yesterday'"; "come dire: 'ricordati quello che eri'", versione edulcorata di uno dei versi più feroci che siano mai stati messi in una canzone: The only thing you done was yesterday / And since you're gone you're just another day. L'elenco sarebbe lungo, ma credo che quanto riportato sia sufficiente a disegnare l'immagine di un libro inutile. Peccato.   Franco Fabbri      

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Conosci l'autore

Ernesto Assante

1958, Napoli

Ernesto Assante è stato un giornalista e critico musicale. Dopo aver collaborato con piccole radio romane, inizia l’attività giornalistica nel 1977, scrivendo per il Quotidiano dei lavoratori. Nel 1978 diventa critico musicale per il manifesto, testata per la quale scriverà fino al 1984. Nel 1979 passa a La Repubblica dove svolge il ruolo di critico musicale, caporedattore e inviato. È stato direttore di McLink e Kataweb e collaboratore dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Ha scritto per settimanali e mensili come Epoca, L’Espresso, Rolling Stone. È scomparso improvvisamente, per un ictus, a Roma il 26 febbraio 2024.Ha pubblicato, tra le altre cose, La Storia del Rock (Savelli 1983), Paesaggio metropolitano (Feltrinelli 1985) e Genesi (Castelvecchi...

Gino Castaldo

1950, Napoli

Gino Castaldo, tra i piú noti giornalisti e critici musicali italiani, scrive su «la Repubblica». Ha pubblicato, tra l'altro, La mela canterina. Appunti per un sillabario musicale (minimum fax 1996) e La terra promessa. Quarant'anni di cultura rock (Feltrinelli 1994). Per Einaudi Stile libero ha pubblicato Il buio, il fuoco, il desiderio, Il romanzo della canzone italiana e, con Ernesto Assante, Blues, Jazz, Pop, Rock e 33 dischi senza i quali non si può vivere e Lucio Dalla (Mondadori, 2021).

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