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Bel libro, con molti aneddoti interessanti. E scritto molto bene, come sempre con Crespi.
Nel libro di Alberto Crespi, Storia d'Italia in 15 film, l'autore cancella il cinema di Pietro Germi, fortemente ispirato dal contesto storico-politico, antropologico e culturale dell'Italia degli anni '40-'60. Dopo avere raccontato la Gioventù perduta dell'immediato secondo dopoguerra, Germi nei film In nome della legge e Il cammino della speranza puntava l'occhio della cinepresa su certe estreme contrade del Sud travagliate dalla povertà e dalla delinquenza, dalla mancanza di lavoro e dall'assenza di una vera democrazia. Raccontava l'incipiente degrado dell'Italia postbellica occultato dai cinegiornali dell'epoca e dai film di puro intrattenimento. Alle soglie del boom economico, in antitesi con il cinema del neorealismo rosa e dell'arcadia romanesca, che diffondeva un'immagine improbabile, artificiale dell'esistenza, Germi con Il ferroviere e L'uomo di paglia rappresentava la vita opaca, esclusa, fatta di sacrificio degli operai alle prese con i reali problemi del lavoro e di una società spietata con i deboli e i loro errori. All'inizio degli anni '60, il vuoto che si nascondeva dietro il "miracolo economico" e la modernizzazione ambigua, contraddittoria della società italiana, facevano precipitare il pessimismo di Germi. Di qui trae origine la triade satirica costituita dai film Divorzio all'italiana, Sedotta e abbandonata, Signore e Signori. Tramite queste pellicole, il regista ligure fu tra i primi a cogliere i risvolti affaristici, amorali, cinici, cialtroni che stavano alla base del vero miracolo italiano. A disegnare un affresco pungente dell'Italia del tempo, leggibile come un apologo del "Paese mancato". Questa filmografia non ha lasciato traccia nel libro di Crespi. Sfortunato regista davvero Germi, vittima ieri dei tanti furori e pregiudizi ideologici che accompagnarono il lungo inverno della "guerra fredda" e oggi della miopia imbarazzante di Crespi.
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