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Un'insegnante più sensibile di altre, che ha disseminato tracce di sé in ogni cosa o persona che ha incrociato; un ragazzo di quindici anni, più inquieto di altri, portatore sano di una smodata attrazione per i luoghi e le storie; una frase lasciata cadere in tono casuale: "Dovresti leggere qualcosa di Lalla Romano
". Il percorso di un'iniziazione alla letteratura, alla vita può prendere forma anche così, da un invito che lacera quella cortina opaca che spesso si addensa nelle aule di scuola e nell'interiorità degli adolescenti. Un percorso che ora Paolo Di Paolo, il quindicenne inquieto che la prof affettuosamente chiamava Of Paul, ricostruisce in questo suo libro, attraverso una scrittura affollata di presenze, affamata di emozioni. È un avvenimento traumatico a innescare il desiderio di un viaggio à rebours, di un pellegrinaggio nella propria adolescenza e in quella altrui: la morte di D., la sua amata professoressa di ginnasio. Che cosa c'era dietro i suoi modi pacati, il suo amore per i libri e per i luoghi, la sua passione schermata dalla ritrosia? Mettersi sulle sue tracce, sfogliando i suoi diari, guardando le sue foto significherà ben presto mettersi sulle tracce di se stesso adolescente e su quelle, disseminate in una Torino degli anni venti, di una giovane Lalla che proprio D. gli aveva fatto conoscere.
Così, dislocata su diversi piani temporali che di continuo si intersecano, attraverso la lettura di indizi, il libero gioco di associazioni, gli andirivieni della memoria che si aggira nei luoghi della geografia e dell'invenzione con la stessa concentrata intensità, la narrazione si incarica di ricostruire la mappa sentimentale di queste tre persone l'io narrante, la prof, Lalla Romano che hanno incrociato i loro percorsi. Non c'è dunque da stupirsi che in una storia di rimandi e coincidenze come questa, in cui ogni incontro con creature reali e immaginarie assume il valore di un talismano, si faccia un particolare affidamento sulle parole: le nitide musicali parole di Lalla Romano, come distillate da una coltre di silenzio, che lei ha saputo elevare a formula d'arte; quelle della professoressa D., animate da una ritrosa passione che lei ha elevato a formula di vita. Di parole interrogative e penetranti impara a servirsi, in un apprendistato che è insieme di scrittura e di vita, anche l'io narrante. Che le usa come ponti per allacciare luoghi molto diversi tra loro: la piscina che solca a veloci bracciate immaginando di vivere in una vecchia commedia di O'Neill e il Piemonte di colline gentili, portici e sogni della sua prof; il familiare incrocio di strade in cui si consuma la sua inappagata quotidianità di ginnasiale romano e la filosofica geometria di Torino, in cui Lalla Romano ha vissuto e continua a vivere la sua "giovinezza inventata".
E quanto le parole possano valere a fondare e nutrire impreviste relazioni, si ribadisce limpidamente nel finale, quando intorno alla figura di Enzo Siciliano, che su Lalla Romano aveva scritto frasi illuminanti, si costruisce un reticolo di rapporti. Tra Siciliano e la prof, che lo vorrebbe invitare a scuola per parlare ai ragazzi di letteratura e di musica; tra Siciliano e Di Paolo, che proprio a lui indirizzerà, qualche anno dopo, il suo primo racconto: un racconto che ha scritto, come un estremo tentativo di restituzione, per D., la sua insegnante morta troppo giovane. Così il cerchio si chiude, e questo viaggio intorno all'isola dell'adolescenza e della letteratura, che ha avuto come nume tutelare Lalla Romano, arriva a destinazione: in attesa, chissà, che altri adolescenti cresciuti al tempo dei blog possano trovarvi la loro personale carta d'imbarco.
Maria Vittoria Vittori
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