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Il concetto di "egemonia", nato con Erodoto e riemerso in tedesco nel XIX secolo (cfr. "L'Indice", 1999, n. 12), è oggi utilizzato in modo confuso. Per quel che riguarda la Resistenza, ad esempio, si legge spesso che l'interpretazione antifascista fu a lungo condizionata, a sinistra, dall'egemonia (culturale prima ancora che politica) degli "intellettuali" (termine a sua volta ormai generico). Le cose non stanno così. Si possono infatti rintracciare, a partire dal 1945-46, numerosissimi interventi estremamente ingiuriosi nei confronti della Resistenza e della guerra civile che l'accompagnò e seguì. Il che è evidente, in particolare tra gli anni cinquanta e i sessanta, nella pubblicistica ad alta tiratura. Si pensi, se ci si vuole inoltrare nell'ancora non ben sondato cuore di tenebra dei sentimenti più elementari dei lettori meno acculturati, a "Gente", fondato nel 1957 da Edilio Rusconi (che nel 1945 aveva fondato "Oggi"). Da "Gente", settimanale non esplicitamente fascista, venne infatti affidata, nel 1960 (anno della crisi del governo Tambroni), al fascistissimo Giorgio Pisanò una lunga ricostruzione, uscita a puntate numero dopo numero, e in chiave schiettamente repubblichina, dei crimini compiuti dai partigiani durante e dopo la guerra di liberazione, ricostruzione che nel 1962 divenne il libro, dal titolo grandguignolesco, Sangue chiama sangue. Né si trascuri che ogni fascicolo di "Gente" vendeva di più di ogni libro degli "intellettuali" antifascisti, nei confronti dei quali, tuttavia, permane oggi, in ambito anti-resistenziale, un non confessato e tuttavia vistosissimo complesso d'inferiorità.
Crainz, che ha scritto un bel libro di cui si sentiva da tempo il bisogno, abbandona le chiacchiere sull'ideologia e inserisce le vicende resistenziali e post-resistenziali in tutto il contesto italiano dell'epoca. Facendo arrivare il lettore al convincimento che l'intera seconda guerra mondiale, nell'Europa continentale e nella stessa Asia, fu anche, al di là degli immani conflitti militari, e al di là degli scontri tra razze ideologicamente inventate e tra gruppi sociali, una guerra civile. Crainz inizia del resto con il Mezzogiorno, con il ritorno dei soldati in miseria dopo una guerra perduta senza onore e senza gloria, con l'agricoltura in crisi profonda, con la questione dei seicentomila soldati italiani in mani tedesche e con la criminalità diffusasi in uno stato che non riesce a controllare il banditismo. Non mancano, nell'Italia liberata prima della liberazione, le denunce dei vescovi in merito all'intensificarsi di furti, mercato nero, fame, egoismo padronale, prostituzione. I tedeschi e i fascisti si abbandonano comunque a massacri di massa (la guerra ai civili che amplia, e crea, la guerra civile). La lotta partigiana si diffonde allora nel Nord lungo il terribile 1944-45. È evidente che non si può tornare al prefascismo, come si illudono non pochi dirigenti antifascisti. Un mondo nuovo, tumultuosamente, si sta spalancando. E gli eccidi del dopoguerra, opera di piccoli gruppi organizzati, sono la guerra civile che si nutre della degradazione prodotta dalla guerra fascista. Gli uccisi dopo la liberazione, secondo la Pubblica sicurezza, sono 9.364. Talvolta sono torturatori e collaborazionisti. Talvolta, anzi sovente, no. Sempre sono, anch'essi, vittime di una tragedia. Iniziata in Italia il 28 ottobre 1922.
Bruno Bongiovanni
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