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Le strade del lavoro. Scritti sulle migrazioni - Giuseppe Di Vittorio - copertina
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Descrizione


La vita e l'opera di Giuseppe Di Vittorio hanno segnato in modo indelebile la storia del Novecento italiano. Figura ancora oggi grandemente apprezzata e ricordata nel mondo del lavoro, Di Vittorio è stato protagonista, con la sua instancabile attività politica e sindacale, di una lunga serie di battaglie sociali, che hanno contribuito al progresso dell'Italia e al miglioramento generale delle condizioni dei lavoratori. Questo volume affronta un aspetto meno conosciuto, ma oggi attualissimo, del suo percorso: l'attenzione ai fenomeni migratori. Di Vittorio segue la questione migratoria in luoghi e tempi diversi: nella Puglia di primo Novecento, dove le migrazioni stagionali e quelle all'estero sono all'ordine del giorno; nella Francia dove lui stesso vive come esule durante il fascismo accanto alle comunità italiane; nell'Italia della ricostruzione dove al termine del secondo conflitto mondiale è molto forte la ripresa dell'emigrazione di massa. Nei suoi scritti, sono numerose le tracce che ricostruiscono questo interesse: interventi sindacali, articoli, interrogazioni parlamentari, spunti di elaborazione politica. La caratteristica più importante che emerge da questi materiali è la lettura lucida che Di Vittorio dà dei fenomeni migratori e degli atti politici e sindacali che possono sostenere l'esperienza migratoria.
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Dettagli

2012
26 settembre 2012
XXXIX-196 p., Brossura
9788860367396

Voce della critica

Carmine Donzelli ha pubblicato una raccolta di scritti e interventi di Giuseppe Di Vittorio sulle migrazioni, a cura di Michele Colucci. I testi vanno dal 18 aprile 1914, data di una lettera di rettifica al "Corriere delle Puglie" (che la pubblicò il 19), quando Di Vittorio aveva ventidue anni, al 18 gennaio 1955, a due anni dalla morte. Sono più di quarant'anni, la parte più tempestosa e tragica del "secolo breve", un periodo in cui molti lavoratori italiani sono stati, per necessità, migranti e, per ragioni politiche, fuorusciti, esuli, confinati. Come l'introduzione del curatore giustamente sottolinea, la posizione di Di Vittorio è straordinariamente coerente al mutare delle circostanze, dello stato del mondo, del suo ruolo personale: l'accettazione dell'emigrazione per necessità come male minore; la difesa, alla pari, dei lavoratori migranti e di quelli locali; la difesa dei diritti civili e delle condizioni di vita dei migranti, senza distinzione di luogo e di motivo della migrazione; l'opposizione alla concorrenza tra lavoratori; la soluzione dei problemi del lavoro in un quadro complessivo: italiano, europeo, mondiale, a seconda dei casi. Per rendersi conto della solidità della posizione di Di Vittorio bisogna ricordare che nel periodo in cui è stata espressa, dall'inizio del Novecento alla ricostruzione postbellica e all'inizio del boom economico, ci sono state politiche di incoraggiamento all'emigrazione da destra (i reclutatori a percentuale, citati in La questione della manodopera in Italia) e rifiuti frontali da sinistra; la trasformazione dell'emigrazione in guerra di conquista (la quarta sponda, L'imperialismo italiano di Michels)e la persecuzione dei fuorusciti accompagnata da polemiche e conflitti con i paesi ospitanti. Gli interventi pubblicati riguardano tutte le emergenze, assai diverse le une dalle altre, in cui la migrazione è risultata al centro dell'evoluzione sociale italiana, viste alla luce degli stessi principi. Anche solo i titoli dei testi sono una specie di sommario della storia del lavoro in Italia: La disoccupazione in Italia ("Lo Stato operaio", ottobre 1927, ai tempi della rivalutazione della lira); La guerra d'Africa e la classe operaia italiana ("Lo Stato operaio", gennaio 1936); L'atroce dramma di Basilea e Les indésirables. Un problema sociale ed umano ("La Voce degli italiani", 26 gennaio e 23 aprile 1938); fino a Per una convenzione internazionale dell'emigrazione (28 settembre 1946), al Piano del lavoro, ai primi congressi della Cgil, quando la disoccupazione, in particolare in agricoltura, ma anche nell'industria, è il problema sociale maggiore. Prima di citare qualche episodio e qualche passo di particolare rilievo, è importante sottolineare le ovvie, enormi differenze della situazione dell'autore nel tempo e qualche dettaglio sorprendente, ovvio anche quello se appena ci si pensa, ma, a prima vista, spiazzante. Quando scrive il primo intervento l'autore è un giovane bracciante anarchico; poi sarà un fuoruscito, un confinato, un militante comunista che si prepara a difendere la Repubblica in Spagna; poi il segretario generale della Cgil. Tra l'intervento del giugno '47 su La politica del lavoro del nuovo governo De Gasperi e quello del giugno '48 su Il piano Marshall e il lavoro c'è stato il 18 aprile. E, certo, i dettagli mostrano anche qualche strumentalità di schieramento, ma non grottesca; la posizione di fondo tiene. Quando parla dei lavoratori e ai lavoratori Di Vittorio scrive "fratelli". Ovvio, naturalmente. Lui era stato anarchico da giovane; i fuorusciti non avrebbero dovuto avere altra bandiera che l'antifascismo; la Cgil unitaria non consentiva altri appellativi. "Su, fratelli!" cominciava l'inno di Pietro Gori, che è anche l'inno della Camera del lavoro di Torino, nata anarchica più di un secolo fa. "Fratelli!"cominciò Bruno Trentin nell'autunno del 1989, in una piazza del Popolo gremita di stranieri, di militanti di tutte le organizzazioni sindacali e di tutti i gruppi pensabili, concludendo la manifestazione in memoria di Jerry Masslo, ammazzato per qualche lira. Non che "compagni" sia un brutto appellativo, anzi! O che ci si debba vergognare della storia del Partito comunista italiano, di quella degli operai comunisti che i Foa e i Lussu impararono a stimare in galera. Ma se ci rendessimo conto della gravità di ciò che accade, la smettessimo di rivendicare le nostre storie di gruppo e di famiglia e cercassimo qualche bandiera universale per difendere le libertà sociali, in pericolo come un secolo fa, non sarebbe male. A metà degli anni cinquanta il problema principale è quello della disoccupazione, dell'emigrazione e della difesa dei lavoratori migranti. Sono gli stessi problemi affrontati in un'ottica generale cinque anni prima nel Piano del lavoro, che affronta anche il nodo fondamentale del controllo privato di industrie fondamentali, come quella elettrica, di cui il Piano propone la nazionalizzazione, realizzata dal primo centrosinistra, dopo la morte dell'autore.L'ultimo intervento, Eliminare la concorrenza tra i lavoratori, ripropone lo stesso tema del Piano, dal punto di vista delle regole anziché da quello del progetto. Sono problemi che sono sembrati remoti per qualche decennio, anche per miopia, ma sono tuttora centrali; per gli italiani disoccupati e per i lavoratori stranieri immigrati. Integrazione delle varie forme di previdenza sociale per i lavoratore emigrati all'estero e per le loro famiglie, il penultimo testo pubblicato, è un problema presente da sempre in ogni migrazione, risolto, alla fine, per gli italiani in Argentina, mai risolto, con l'assai parziale eccezione della Tunisia, per i lavoratori stranieri immigrati in Italia: casi perfettamente simmetrici. Ho letto, nell'ultimo quarto di secolo, numerose varianti di un accordo con il Marocco, mai concluso. Per i provenienti dall'Europa orientale, per i paesi aderenti valgono le assai carenti regole dell'Unione, sostanzialmente mirate, contro mezzo secolo di lotte di Di Vittorio, alla concorrenza tra i lavoratori. Per gli altri c'è la legge della giungla. Ugualmente vivo e presente è il problema delle rimesse. Altri scritti riguardano episodi sconvolgenti più che una norma. O meglio riguardano i diritti umani, il diritto alla vita, alla libertà, agli affetti. Il 26 gennaio 1938, su "La Voce degli italiani", Di Vittorio scrive: "La Voce d'ieri ha pubblicato una corrispondenza da Basilea che getta nel lutto l'emigrazione italiana, tutte le emigrazioni, e susciterà dei fremiti di pietà e di sdegno in tutti gli uomini di buon cuore (…) Un vecchio italiano di circa 70 anni, essendo solo, povero e senza lavoro, era stato costretto a chiedere aiuto e assistenza a una istituzione svizzera di beneficenza. La polizia elvetica intervenne e gli comunicò il decreto di espulsione dalla Svizzera e l'ordine di consegnarlo alle autorità italiane della frontiera. Dei buoni amici italiani intervennero, raccolsero 50 franchi per il povero vecchio, fecero intervenire un avvocato in suo favore (…) Il giorno prima che spirasse il termine ultimo della breve proroga che gli era stata accordata, due agenti si impossessarono del vecchio italiano, per condurlo di forza alla frontiera. Durante il tragitto (…) il povero Cadorin si uccise ai loro piedi, a colpi di rivoltella. (…) Giovanni Cadorin era emigrato in Svizzera da ben 47 anni". Non bisogna dimenticare In aiuto degli ebrei italiani!, del 7 settembre 1938, vibrato, scritto dall'esilio. E la prima lettera, quella del 1914, che non riguarda un caso atroce, ma identico a quello che è entrato nella letteratura italiana in Fontamara di Ignazio Silone. C'è stato uno scontro tra contadini di Cerignola e del Barese. Il "Corriere delle Puglie" ha attribuito lo scontro al rifiuto dei contadini di Cerignola "di lavorare in quelle campagne perché molto distanti dall'abitato". Precisa Di Vittorio che i cerignolesi hanno lavorato a distanze anche triple; che in quel caso il lavoro, che avrebbero accettato di corsa, non gli è stato concesso perché alle elezioni avevano votato contro il candidato del signor Millet, al cui palazzo avevano in effetti dato l'assalto. In Fontamara il padrone si chiama Torlonia. E il conflitto con i baresi? "Quanto riguarda i lavoratori del Barese, in mezzo ai quali io vivo da un anno, e che sono stati vittime di un conflitto doloroso, causato da gente che non figurerà tra gli imputati, mando il mio fervido saluto". Francesco Ciafaloni

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