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Testo serio e documentato, frutto di una lettura attenta con puntuali riferimenti ai testi. Questo lavoro di Bucci porta alla luce, in tutta la sua portata, l'opera costante e sistematica di plagio condotta da Galimberti nell'arco degli ultimi 20 anni; che gli ha procurato tra l'altro non pochi problemi accademici e con colleghi. Galimberti è un autore molto letto da chi non ha molta confidenza col pensiero filosofico, e questo ha reso la sua operazione di copia e incolla più "semplice". Ma il punto della questione, al di là del copia-incolla a danno di colleghi, senza peraltro mai citare le fonti, è la sua costante banalizzazione del pensiero tedesco tra le due guerre, di cui, tra mille confusioni e volgarizzazioni, si è autoproclamato continuatore.
E' a dir poco allucinante come Francesco Bucci costruisce la sua assurda critica nei confronti di un filosofo fuori dalle logiche del potere ed anti-cattolico e per questo inviso agli intellettualoidi da strapazzo che affollano i salotti italiani
Mi complimento con l'autore del libro. In realtà, quel che è interessante, nell'opera di plagio in generale e in particolare in costui, è il pensiero che forse solo un plagio costante, continuo, pervicace, e sistematico, poteva in qualche modo legittimare la somma di banalità, tristissima, dell'opera di cotale filosofastro. Mi spiego: tutti i plagi prima o poi vengono scoperti. E dunque l'esimio professor Galimberti, in limine mortis, potrà liberarsi la coscienza: "Una simile somma di idiozie non sono il prodotto della mia mente!". Ed in qualche modo preservare la propria immagine per i posteri. Purtroppo non esiste ora come ora la "filosofia italiana", posto che sia mai esistita. Esiste una tradizione eccellente di storia della filosofia, davvero unica al mondo per finezza interpretativa, e, di contro alla prima, una teoria di ciarlatani che, sospesi tra nichilismo e psicanalisi, Teoria critica letta in traduzione, e flussi di coscienza degni dei lettini di psicoterapeuti improvvisati, si spacciano per "filosofi", ma altro non producono che non sia chiacchiera talvolta in buon italiano, talvolta in pessimo volgare. Almeno, Galimberti potrà dire che tali idee non erano sue, e in questo modo si salverà dall'inferno dei parolai per entrare in quello, forse migliore, dei plagiari. Il problema rimane: perché scrivere, allora? Per ottenere cattedre, per avere editori rigorosamente di sinistra e rigorosamente ateo-nichilisti che ti pubblicano e un sistema che ti manda in televisione, insomma per vivere, e tutti debbono vivere, anche i meno dotati intellettualmente. In fondo, meglio plagiare scemenze che non scriverle! Per cui consiglio come esercizio intellettuale la lettura di Bucci, segnalando che per molto, molto meno, nel mondo anglosassone il professor Galimberti, dopo aver perso la faccia, avrebbe perso anche la cattedra. Ma nel paese di Pulcinella vive solo chi sa crearsi una bella maschera, e non vergognarsi di portarla tutta la vita.
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