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Ottimo libro. Agile ma esaustivo. Interessante.
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Il volume di Aldo Giannuli prende le mosse dall'espressione "uso pubblico della storia", introdotta da Habermas per distinguere il lavoro scientifico dello storico dal dibattito pubblico, con un significato sfumato e non così negativo come quello odierno. Su tali basi Giannuli propone opportunamente la distinzione tra "uso pubblico della storia", inteso come "trattazione storica da parte di giornali e tv, arte, letteratura, scuola, musei, toponomastica, monumentalistica", e "abuso", ovvero "ricorso surrettizio a essa", per fini politici. Gli "abusi", come è noto, non sono mancati nei dibattiti italiani sul fascismo: l'autore ricostruisce le coordinate fondamentali del "canone gramsciano-azionista", segnalando asprezze e forzature della successiva "revisione" defeliciana, ma riconoscendo nel contempo l'importanza di una discussione che ha conferito legittimità storiografica alle tesi sull'effettivo consenso ottenuto dal fascismo, sul suo modello di modernizzazione e soprattutto sulla Resistenza come "guerra civile". Un'altra questione centrale a proposito di "usi" e "abusi" della storia non poteva che essere rappresentata dalla Shoah. Il punto di partenza nella ricostruzione di Giannuli, prima di passare alle degenerazioni revisionistiche e negazionistiche, è Norimberga, che determinò, a suo avviso, una sorta di "tribunalizzazione della storia". Discutibile, però, la sua affermazione secondo cui in quella sede emerse, come "fattispecie penale sino ad allora sconosciuta", il "genocidio". In realtà nel 1945-46 nessuno dovette rispondere di tale accusa: i massacri nazisti furono infatti perseguiti come "crimine contro l'umanità", senza che la distruzione degli ebrei venisse posta in primo piano.
Giovanni Borgognone
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