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Anno edizione: 2012
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Più che un romanzo vero e proprio, è un saggio romanzato scritto molto bene e che si legge agevolmente e piacevolmente. Paradossalmente, del serial killer Antonio Boggia ne sentiamo parlare ancora oggi, mentre di tanti bravi lavoratori e brave lavoratrici della stessa epoca non è rimasta alcuna traccia. Interessante l'ultima parte del libro in cui, comunque, l'autore si schiera contro la pena di morte.
Non appartiene alla categoria dei gialli, quest'ultimo romanzo di Maurizio Cucchi, che anzi sul genere poliziesco aveva lungamente polemizzato in una diatriba radiofonica con Carlo Lucarelli. Anche in queste pagine stigmatizza le mode editoriali che allettano lettori sempre più affamati di storie truci e omicidi irrisolti, così come irride a "quegli psicologisti ambulanti che girano per le tivù a pontificare sui fatti di sangue, a gratificare il pubblico di ovvietà, campandoci sopra come dei divetti, come cialtroni subintellettuali alla moda". Altri sono gli interessi che hanno spinto Cucchi a ricostruire la vicenda criminale di Antonio Boggia, autore di quattro omicidi nella Milano ottocentesca, ultimo condannato a morte nell'aprile del 1862. In primo luogo una comprensibile curiosità nei riguardi della psiche malata dell'assassino, di cui ripercorre l'ambiente familiare e lavorativo, i loschi traffici e le ambigue frequentazioni: seguendolo nelle sue passeggiate senza meta, e le consolatorie sbronze nei "trani" dell'epoca; spostandosi poi da Porta Ticinese a Torino, dal lago di Como alla Brianza, documentandosi negli archivi e nelle librerie antiquarie, leggendo gli atti del processo, visitando i torbidi luoghi in cui si svolsero i fatti. E così facendo approfondisce l'interesse primario della sua narrazione: la rivisitazione della sua amata Milano in "una realtà preautomobilistica", e l'affettuosa ricostruzione storica del prediletto secolo XIX, con la sua "sobrietà austera", "l'inquietudine romantica" e una cultura in grado di mostrare "una conoscenza diretta e personale, in proprio, delle cose e del mondo", meno turbata dalla sovraesposizione mediatica di quella attuale. La prosa di Cucchi è piana e discorsiva, lontana da ambizioni linguistiche innovative, e talvolta indulge a osservazioni moralistiche alquanto scontate e retoriche.
Lettura scorrevole e ben fatto nella sua impostazione generale con un buon taglio giornalistico. quello che non mi ha convinto del tutto è la trama,infatti non ho capito se l'autore ne abbia voluto trarre una sorta di phamplet storico-politico o solo una sorta di eventi in ordine cronologico ( o -) di fatti e situazioni aimputabili al protagonista. non c'è nulla che non sia insipido come una zuppa mal fatta. anche questo da mettere sotto l'ombrellone senza trippi sforzi di celluline grigie.
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