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Malraux, il precursore dell'esistenzialismo affida ad A.D. la voce dell'Occidente "inattuale": "Certo esiste una fede più alta: quella che propongono tutte le croci dei paesi (..) Essa è amore e in essa è pace. Non l'accetterò mai; mai mi abbasserò a chiederle la pace richiesta dalla mia debolezza." (p.157) Più Nietzsche che Spengler a cui si affianca, in un movimento che è il ritmo stesso del mondo, l'Oriente confuciano di Ling-V.-I.. E l'Oriente depredato di Sé dall'Io d'Occidente è il destino del canto accorato di Malraux. L'intero fittizio carteggio altro non è che un danzare inquieto dell'europeo al tramonto innanzi allo specchio del suo spirito che lo rifrange per quel che è, nulla (Stirner + Sartre) e per quel che non sa più essere, vita ("la vita intima è anche la più rozza e il suo potere, che dimostra quanto sia arbitrario lo spirito, non potrebbe liberarci da lui - scrive A.D. a p.156). Quella vita che così intensa sente l'Oriente ("Conoscere il mondo non è farne un sistema. (..) Il nostro pensiero non è come il vostro, il risultato d'una conoscenza, ma l'armatura. (..) Voi analizzate ciò che avete sentito: noi pensiamo per sentire - risponde Ling a p.119) ma che, accogliendo per propria debolezza in seno l'Occidente, si smarrisce nella "suprema bellezza delle culture morte" poiché i giovani "sono spogliati della loro cultura e disgustati della vostra. In essi nasce l'individuo", nell'anima di chi da sempre "vuole concepire la vita tutta intera. Non che possiamo capirla, ma sappiamo che supera ogni nostra azione e DEVE superarla." (p.37). E quando nell'Oriente della sensibile fatalità s'incista l'azione in qualità di pensiero e l'angoscia che ne reca con sé l'Occidente infetto di anemia da ego ipertrofico ed anomia "sarebbe il nulla poiché ogni creazione viene dalla rottura di questo equilibrio e non può che essere diversità." (p.120). Che l'Occidente non cada dunque in tentazione ma ristagni nel mare della passione. E mai perorazione fu più lirica ed insieme profetica di questa del 25enne Malraux.
Recensioni
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Tristi tempi, i nostri, tempi di nichilismo e di relativismo, l'uno e l'altro tabe dell'Europa e dell'Occidente. Pur autorevole, la denuncia si fa però sempre meno credibile, lentamente si sgonfia: il relativismo investe ormai scenari dopolavoristici e il nichilismo si consuma in famiglia, davanti alla tv. Siamo nella spazzatura, non più nel registro filosofico. Ma se volete cogliere i due temi a uno stadio ancora magmatico e potentemente suggestivo, queste pagine ve ne daranno una buona possibilità: datate eppur anticipatrici, gettano fasci di luce sulla crisi dell'Occidente e del suo nefasto individualismo nietzschiano, e però anche sulla scomparsa del millenario Oriente inghiottito dal nichilismo dell'Occidente nella sua versione tecnologica. Ma infine, cos'è l'Occidente? E cosa, l'Oriente? Malraux, uomo di fascinosi misteri, prova a suggerircelo. Prima di affidarci a lui, dovremo però fare qualche passo indietro.
Nel luglio del 1853 quattro cannoniere battenti bandiera degli Stati Uniti entravano nella baia di Tokyo con i cannoni puntati sul palazzo imperiale. Il commodoro Matthew Perry aveva un preciso mandato: imporre all'impero del Sol levante, da duecentocinquant'anni chiuso in uno splendido isolamento, l'apertura all'Occidente dei suoi porti. Un anno dopo, il trattato di Kanagawa accoglieva tutte le richieste di Perry. Seguirono anni di sconvolgimenti e di lotte intestine tra innovatori e tradizionalisti, ma alla fine le classi dirigenti del vetusto impero imboccarono la strada della modernizzazione. Fu un'operazione eccezionale: nel 1905, l'esercito del nuovo Giappone conquistava Port Arthur e invadeva la Manciuria, mentre la sua flotta distruggeva a Tsushima quella dello zar. Per la prima volta, un paese coloniale sconfiggeva una grande potenza colonialista. Le conseguenze dell'evento si propagarono come le onde di un sisma: l'impero zarista conosceva drammatici scossoni interni, premesse alla rivoluzione del 1917; quello cinese si sfaldava, con lacerazioni e guerre civili che si sarebbero protratte fino alla riunificazione, prima con Jiang Jieshi e poi con Mao Zedong. Rivolgimenti si avevano dalla Manciuria al Siam, la Sublime porta crollerà di lì a poco con la sconfitta nella prima guerra mondiale, nel 1919 un giovanissimo Ho Chi Minh presenterà alle potenze riunite a Versailles un documento per i diritti dell'Indocina. Sulle rovine dell'impero ottomano, nel Medioriente, Inghilterra e Francia disegnavano a tavolino nuovi stati dall'identità volatile, inevitabilmente esposti a sconvolgimenti e a governi precari quando non autoritari, dove però cominciarono a formarsi classi politiche e leader nazionali anche negativi ma forse "necessari", a partire da Saddam Hussein.
Tra gli spettatori più attenti di questi giganteschi processi c'era un giovane francese, talentuoso e ambizioso, ma anche un po' malandrino, André Malraux. Aveva iniziato una carriera di orientalista e intenditore d'arte. Precorrendo Indiana Jones, si era avventurato nelle giungle della Cambogia alla ricerca dei tesori di Angkor da rubare e gettare sui mercati artistici d'Occidente. Gli andò male. Fu acciuffato e sbattuto in galera, da cui uscì a fatica. Il giovane era imbevuto di esotismo. Esotismo e orientalismo infestavano del resto l'Europa (e l'America) da oltre mezzo secolo, proprio sulla scia delle cannonate di Perry, che avevano eccitato curiosità intellettuali e avidità mercantili. Sulle loro prime radici settecentesche, sul loro significato, si è molto discusso sia in termini estetici che politici. Oggi sono solo ingredienti stuzzicanti della (sub)cultura dei villaggi turistici di massa raccontati da Houellebecq: eppure, cosa sarebbe l'Occidente senza l'esotismo e l'orientalismo? Senza risalire all'ideologia delle guerre persiane raccontate da Erodoto, l'Europa si è forse costruita, nei secoli, sulla differenziazione da un Oriente al quale essa ha, di volta in volta, rigettato tutte le negatività possibili, i miti del primitivo e della barbarie, della voluttà peccaminosa e del proibito, ma anche attribuito i pregi di una ineguagliabile superiorità etica o l'avvenenza onirica di luogo deputato all'evasione, all'escapism più dannato (e perciò agognato). Sempre però, come ha scritto Edward W. Said, l'"Oriente", "un luogo di meraviglie, o un nemico", è stato un'"invenzione dell'Occidente".
I due maggiori romanzi di Malraux prendono spunto da reali episodi che sconvolgono una Cina in agonia: Les conquerants (1928), lo sciopero generale di Canton del 1925, La condition humaine (1933), la rivolta comunista a Shangai del 1927, stroncata nel sangue da Jiang Jieshi. Ma quegli eventi lo scrittore li filtra attraverso i canoni della cultura nichilista al suo acme, in primis la dimensione di una "condizione umana" protesa alla costruzione del superuomo, se non già l'uomo nuovo della rivoluzione permanente trockista o del secolo breve. Malraux getta insomma sulle spalle anche dell'Oriente l'enorme fardello dell'Occidente: ma esotismo e orientalismo sono superati, cancellati per sempre.
"L'Europa evoca pochi fantasmi belli, e io sono venuto ad essa con una curiosità ostile". È l'attacco della prima delle lettere che un immaginario ventitreenne cinese, Ling-V.-I., scambia con un suo quasi coetaneo europeo, A.D. È un carteggio, un epistolario famoso, l'opera prima (o quasi) di Malraux, La tentation de l'Occident, pubblicata nel 1926. Nei suoi posteriori romanzi cinesi è l'Occidente con le sue categorie a dominare, qui è l'Oriente ad avere la meglio: "Vedo nell'Europa una barbarie ordinata con attenzione" (
) "Vedo gli europei. Li ascolto, credo che non capiscano cos'è la vita". Gli europei appaiono poveri di sentimenti e di emozioni, quei sentimenti ed emozioni che per un cinese sono "la coscienza di esistere secondo il modo più bello". Voi europei, continua il deluso Ling, "avete gravato d'angoscia l'universo" (
) "riuscite a percepire la vita soltanto a frammenti" (
) "noi cinesi vogliamo concepire la vita tutta intera".
A.D., un nichilista postnietzschiano, gli tiene dietro: "In seno al mondo occidentale c'è un conflitto senza speranza, qualunque sia la forma in cui lo vediamo: il conflitto tra l'uomo e ciò che egli ha creato". È il "conflitto del pensatore e del suo pensiero" (quello della famosa statua di Rodin?). Come si vede, in queste pagine si avverte spesso il cliché di un Oriente che sa gustare la baudelairiana "calme, luxe et volupté" e di un Occidente "divorato dalla geometria" e insieme malato di spengleriane angosce. Ma si salvano, e ancora ci gratificano, per la superba forza stilistica, lo splendore delle immagini, la continua tensione aforismatica, le finissime considerazioni estetiche sull'arte occidentale e orientale. C'è anche qualcosa di più, e forse inaspettato: in piena, e comprensibile, continuità con l'egotisme di Stendhal o di Chateaubriand, appare qui chiarissima l'incubazione di Camus e persino di Sartre, con i loro sforzi per definire i parametri della "condizione umana". Smanioso di toccare una perfezione da esteta, Malraux sembra approdare a un'etica, drammaticamente moderna anche se volatile e pericolosa. Per afferrarne tutti i risvolti storici, si dovrà contestualizzare queste pagine; per coglierne il fascino aforistico e impressionistico sarà bene decontestualizzarle, e abbandonarsi al fluire di uno stile mitopoietico, non certo uscito da una scuola di scrittura creativa.
Angiolo Bandinelli
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