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Una caffettiera, un tappeto, una tenda, un pavimento, una credenza, i fantasiosi e fissati mondi del carattere attraverso i volti dell'arredamento, interni mutevoli stracolmi di testarde attenzioni personali. Quei capillari del gusto su cui spesso, nella pagina di un romanzo, voliamo con distrazione colpevole, qui sono scrutati in una perizia e una bellezza indubbiamente degne di un catalogo dell'anima. L'idea di qualcosa che di volta in volta viene definito "cella inviolabile" o "santuario interiore" era l'approdo dei più incredibili desideri. Basta pensare al folle progetto di Dumas Padre, un castello gotico con un padiglione rinascimentale in mezzo al lago, specchio della sua mole fisica, vera e propria cattedrale per realizzare la quale se ne sarebbe andata una fortuna. O lo specchio coperto sopra il camino in casa di Marcel Schwob, oggetto che egli detestava perché gli faceva incontrare il suo viso. O le morigerate pareti della casa di Flaubert a Croisset, culle delle sue grandi distanze da ogni rozza quotidianità: "Basta chiudere porte e finestre, chiudersi su di sé come un riccio". O il soffitto bassissimo nel quale viveva Alfred Jarry, talmente basso disse Apollinaire "che si potevano mangiare soltanto sogliole" mentre i capelli dello stesso Jarry si tingevano del bianco dell'intonaco. E poi sua Maestà Balzac che, nel suo saio di cachemire, pensa alla sua immensa Commedia Umana allontanandosi sempre più dalla mondanità più stantia: "Stavo diventando una persona banale, mi lasciavo invadere dalla società e ho appena reciso ogni rapporto rientrando nella solitudine e nell'oblio". Ma sono pochi esempi scelti fra tantissimi per lanciare il valore di questo volume in un tentativo di commento. Estrosità e ossessioni, maniacali abitudini e feticismi commoventi. C'è la vita adorabilmente reclusa in stanze singolarissime, mantelli raffinatissimi, vassoi intarsiati, e fra questi e tantissimo altro ecco dei personaggi immortali ritratti nel loro cielo empireo.
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