Le domeniche di Jean Dézert

La prefazione a questo racconto, la cui lettura intenerisce il cuore, è di Francois Muriac che fu amico dell'autore. Jean de La Ville de Mirmont muore a 28 anni , nel fronte dell Marna, nel 1914 durante la Prima Guerra Mondiale. Jean Dézert, il protagonista del racconto, è un ventisettenne, impiegato presso la Direzione Logistica del Ministero per l'Incoraggiamento al Bene, dove completa dei moduli e comunica o trasmette documenti ad altri servizi. La sua è un'esistenza ordinaria, con gli stessi ritmi ogni giorno, mentre la domenica è tutto per lui; "è tutta la vita, non si stanca mai di camminare ed errare lungo i grandi boulevards" di Parigi. Durante una di queste camminate compra un volumetto smilzo stampato a Londra nel XIX secolo: "La morale di Confucio. Filosofia della Cina". Rimase colpito "da alcune frasi che corrispondevano, con una certa precisione, ai principi morali che orientavano la sua vita morale": "Vi sono tre cose che il saggio deve riverire. le leggi del Cielo i grandi uomini e le parole delle persone perbene", ma la frase che gli apparve come la summa delle sue concezioni del mondo era; "Quando non si può apportare a un male alcun rimedio, è inutile cercarlo". Lo mise sul comodino tra il candeliere e la boccetta d'acqua di fiori d'arancio, e "da allora, vi ricorse sempre per la vita quotidiana"

Una vita di vento, un barlume soffiato e subito deposto. Ma i poeti vivono lo stesso, tolgono via in un verso la stantia polvere degli anni, restando giovani comunque. Il respiro conosce solo l'anagrafe del sentire, la stella di una sensazione liberata dai suoi spigoli grazie alla scrittura, il fango torbido del tempo che diventa materia celeste nelle mani dell'artista. Librino delicatissimo, somma di brevi domeniche poetiche nei quali l'esistenza di un uomo si fa tutta, un concentrato di episodi comuni e insieme speciali, triste rassegna del vano e del perduto che una grande rassegnazione sa infine donare alla carta. Jean sa attendere, considera la vita "come una sala d'attesa per passeggeri di terza classe"; non è ambizioso, è senza invidie, e sa che, tolta qualcuna che mai potrà sfiorarlo, le stelle sono anime ingrate. Punta tutto su un invitante dépliant per scandire il corso della sua giornata libera, e così attraverserà in quei passaggi la normalità più comune (il barbiere, un bagno caldo, un ristorante vegetariano, un cinema) e la possibilità di un amore, presto crollato perché l'assurdo non può non infilarsi nelle tasche di una vita diversa coi suoi ridicoli teoremi: lei lo lascerà perché solo all'ultimo scoprirà che lui ha un viso troppo lungo. Commovente! Mediterà il suicidio, ma tornerà poi alle sue cose di sempre. E' un'anima rara, ed è forse per contrappasso coi tanti morti allegrissimi che guarda attorno a sè che sente di sposare la vita, dato che "il solo studio possibile per il poeta è lo studio della vita,e il suo travaglio più fecondo è di vivere".Questo e null'altro, nel destino di una comparsa che"assomiglia a certi coristi dei teatri d'opera i quali,nel pensare alla loro vicenda privata,aprono la bocca insieme agli altri per far credere che stanno cantando come loro".L'autore morì ragazzo durante la grande guerra. Forse sentiva già d'essere vecchio, ed è forse per questo che dirà nel racconto "le nostre gioie consistono negli inizi".Una delizia.

un piccolo, essenziale, perfetto capolavoro. un personaggio indimenticabile, in cui la pigrizia emotiva è più forte della voglia di vivere, e l'atteggiamento blasè si rivela una stanca saggezza. da rileggere, ancora e ancora...