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Sobbalzi e ammiccamenti, slittamenti di frasi, nella ricerca meticolosa della parola, fra la riserva di qualche affermazione che potrebbe mostrare l’originale capacità di mettere in versi esperienze ed affetti e la ricchezza che traspare nelle accettazioni inconfessate della riserva. L’impatto tra il racconto di un vissuto, piuttosto ordinario e straordinario insieme, e la illusione di una fantasmagorica percezione della poesia sono qui la dimensione autobiografica, intensa di dettagli e di partiture come il sussurro che : “Scrivi, cingi il giorno con frasi/ di buio. Un Dio impettito/ accorpa sillaba a sillaba:/ scrivi il brivido, la bellezza, scegli/ la riva, scendi in acque di stoltezza/, di paura. Assumi l’anestetico/ abbandonati alla corrente:/ scrivi almeno tu, frenetico/ la mirabile vita assente.” (pag. 40). Questa è l’opera prima di Giacomo Leronni (1963), ma già essa è prova di acquistata maturità espressiva, senza eccezioni o contaminazioni che potrebbero sminuirla. Il suo discreto offrire si consuma lentamente in una strana solitudine che chiede di allontanare ansie, illusioni, contorsioni esistenziali, sbandamenti temporali, per sopravvivere in un rapporto indefinito e indefinibile con la immagine della filosofia e con la impalpabile presenza di una fede, ben celata nel verso . “I regni paralleli dell’angoscia/ e della foga, la parola/ sovraccarica, il silenzio/ il martellare contiguo dell’afa/ e del freddo. S’interpongono corpi/ nebbia che la luce puntella/ di figure tormentate.” (pag. 84). La tensione riporta ad emozioni nelle quali il dirompere del pensiero audace pulsa in attese non riconoscibili, ma adagiate alla metafora, la quale rende la scrittura proiettata luminosamente da un passato incancellabile ad un futuro sospeso e temuto insieme. Particolare il linguaggio di questo poeta, un tracciato dal fascino sostenuto tra gli anfratti della finzione scenica e la sorpresa della ricerca linguistica. Antonio Spagnuolo
Cecità stellata, onore al silenzio sono le chiavi di volta di questo compatto libro di Giacomo Leronni, quarantenne poeta pugliese, che in modo ostinato e con credo rovente aspira a cogliere l’eco della rivelazione, la vita segreta / delle cose: la giornata inattesa nell’inquieta oscurità del mondo, dove tutto è confuso, non differente / dal bene il male…, come recita la citazione di C. Viviani posta in esergo. L’idea originale, e condivisibile, sta nella collocazione che il poeta si trova a vivere (ma è anche una scelta?), tutt’interna al buio, ai detriti, alla sordità dell’esistente, di cui il corpo è la manifestazione più dolorosa, mentre il silenzio ne è il dono desiderato. Cecità, buio, vuoto, silenzio sono le parole di questo percorso. Nel buio meglio si orienta chi è cieco: Scrivi, cingi il giorno con frasi / di buio. Nel buio più forte si conosce la potenza della luce. Dalla lacerante tensione verso la luce scaturisce la parola poetica, che tuttavia, come ogni cosa umana, appare inadeguata a dire quanto di splendore e di verità ha lasciato intuire il silenzio: l’ansia della luce è tale / che tutti periamo nell’abbaglio. Ma intanto abbiamo imparato a sottrarre qualche ora alla viltà e a salutare col respiro. Questa poesia infatti ha il ritmo del respiro che si adatta alle pieghe delle cose e delle parole con tanta naturalezza da cercare spesso le rime alla chiusura. E abbiamo imparato a voler bene al poeta, perciò, dato che la felicità è senza scopo, lo invitiamo ad assolvere nella pienezza della vita anche il povero corpo, sciogliendolo dalla condanna d’essere d’intralcio all’assoluto / prima e dopo.
[...] A mio avviso la poesia di Leronni è semplice, netta. Esperienze e idee si rincorrono unendosi e disgiungendosi in una sorta di caleidoscopica euforia. Nel corso della narrazione poetica, una delle parole più frequenti è la parola “ombra”. Pare che l’autore ponga il suo dire in una zona rarefatta d’ombra, alla ricerca della giusta tonalità per esprimere con discrezione la sua visione del mondo, ma ombra porta con sé luce, necessaria, appunto, per porre in essere l’ombra. Altro elemento che caratterizza la sua poetica è la rilevante componente dialogica che si esplicita praticamente in tutte le poesie; v’è sempre un “tu” verso il quale il poeta si sposta col pensiero e con la narrazione. Sicuramente, nel pensiero cosciente dello scrittore vi sarà, a personificare quel “tu”, una persona conosciuta, reale, magari amata, ma che metaforicamente, a mio avviso, rappresenta l’anima di tutti coloro che prenderanno in mano il suo libro e si avventureranno nella lettura dei suoi versi. Trovo conferma, anche se parziale, a questa prospettiva, nella nota finale alla raccolta, dove Leronni si esprime così: “[…] preferirei che il lettore, eventualmente, si chiedesse non tanto cosa il poeta avrà voluto dire, quanto piuttosto cosa, con lui, è disposto ad ascoltare”. Si può a ragione dire che quella di Leronni è una poesia scritta per coinvolgere il lettore, o addirittura per trascinarlo, data talvolta la forza dialogica, in un ascolto e una meditazione, assorta e visionaria, del mondo reale, per questo si dà un gran da fare con le parole. I versi ben lavorati, sintatticamente e formalmente, hanno capacità evocativa, un uso prolungato di aggettivi, opportunamente incastonati, rende il testo simile alle immagini di un sogno che appare, dapprima, disordinato e senza senso, ma che poi, appena desti, dopo un primo momento oscillante, si agganciano alla mente razionale, mostrandoci il suo vero senso, una rielaborazione quasi esorcizzante di esperienze vissute. [...]
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