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Quel che distingue un capolavoro da un mediocre romanzo è l’architettura, i piani. La fossa comune si può leggere come storia in sé, gradevole, scritta con indubbia maestria. Oppure potete vederci la critica alla gangrena del neocapitalismo selvaggio, del profitto ad ogni costo, dei soldi facili, con cui comprare tutto, tutto sporcare. Potremmo soffermarci a lungo su questo aspetto, ma andiamo oltre, ché altre architetture ci aspettano. Una di queste è la struttura a eventi, a “happening”: Vittorio, il protagonista, crea infatti continui happening, irrompendo nella vita degli altri e sconvolgendone le esistenze. Anche negli episodi in cui sembra apparentemente subire, come nel furto da parte dei bambini, è sempre lui a dettare i tempi, le modalità, il topos in funzione dell’epos. Trovo quel passo del romanzo e gli attimi seguenti di una bellezza struggente. Vittorio s’indigna, piange di frustrazione. Per se stesso, per ciò cui si è ridotta la Russia, ma anche per tutti noi, l’umanità intera. E di colpo l’happening si allarga, come per uno squarcio interiore, fino a includere tutti gli eventi possibili, tutti i teatri esistenti e quelli ancora da costruire. L’happening personale, di cui Vittorio è sempre alla ricerca, si trasforma in una amara versione della struttura a network. E nel rapporto con il potere. Nella percezione di Vittorio il potere ha ancora un volto umano, lo si può ferire, uccidere. Pensa che basti ammazzare un burattino per sbarazzarsi dei burattinai. Ma, una volta arrivato al centro degli eventi, percepisce il potere in tutte le sue trasversalità, in tutte le sue doppiezze. Dovrebbe essere il colpo di grazia a qualunque ideale, ma un attore resta sempre un attore, anche se il teatro sta crollando e la platea è deserta bisognerà finire quel maledetto monologo. “Bisogna vedere la tristezza di un brutto happening” dice Peter Brook ad inizio libro, ma bisogna anche godersi la bellezza di un happening immenso e triste come questo, aggiungo io.
La fossa comune non è un romanzo tetro come il titolo potrebbe far credere, è anzi scorrevole e si sorride spesso, prima di rimanere con una sensazione di amaro in bocca, che ci fa terminare la lettura pensando all’inutilità. Non del libro, che anzi è una buona lettura. L’inutilità dell’esistenza, invece, o di alcune esistenze, come quella di Vittorio Ronca, il protagonista del romanzo di Bastasi, che vuole di più, a cui non basta mai, che è sempre in cerca, che non è mai arrivato né è mai soddisfatto. Tutti pregi, tutti elementi necessari a vivere la vita pienamente, ma non quando questa ricerca è vana, quando il tutto si basa su fragili illusioni che non vogliamo accettare come tali. Vittorio è un sognatore, è un utopista, e forse il momento più bello e più vero della sua vita è quello in cui accetta questa dimensione. Ma spesso Vittorio si trova a volere di più, si ritrova insudiciato da una realtà che egli stesso ripudia, si ritrova con le mani sporche, e quindi si ritrova a desiderare altro e a non essere mai soddisfatto, a non averne mai abbastanza. Vittorio crede nei suoi ideali, fino in fondo. E i suoi ideali sono giusti, sono quelli di una persona “informata sui fatti”, colta, istruita. È lo spirito del personaggio che rende vano lo sforzo. Ecco perché uno dei personaggi che ho più amato è Andrej, un ragazzo russo che Vittorio incontra in un suo viaggio-fuga a New York e che rimarrà elemento cruciale nella sua vita. Andrej sembra possedere una cosa rara: la conoscenza. La conoscenza del proprio spirito, di ciò che si desidera, e quindi la conoscenza di quali si crede possano essere i propri traguardi. Lo sguardo di Andrej sulla vita è dolce e comprensivo, come quello di Vittorio non riesce mai a essere. È lo stesso Andrej a rimproverare Vittorio di essere “egoista”, e in questa parola risiede il senso ultimo del romanzo. La differenza tra Vittorio e Andrej è che questi pensa in primo luogo agli altri e non a sé. “È sulle persone che occorre investire”, dice Andrei. Un messaggio prezioso, oggi.
Storia intensa e ricca, che descrive le vicissitudini di un italiano nella Russia di Eltsin. Attenta è la ricostruzione storico, politica, culturale dell’ex URSS. Storia che si muove, con disinvoltura e precisione, dentro la Storia ma anche vicenda di un uomo, il protagonista, Vittorio Ronca, disegnato con profondità e intensità. Vittorio è un uomo che vorrebbe poter fare qualcosa di grande, di importante, e che mal si adatta ai lavori che di volta in intraprende, seppur all’inizio con successo. Questo suo desiderio lo porta persino a bruciare le proprie relazioni sentimentali, a lasciar andare in malora la propria carriera. Sarà soprattutto per questo desiderio che accetterà di uccidere Eltsin, pur essendo consapevole che un simile omicidio avrebbe cambiato ben poco e che altri simili a Eltisn ne avrebbero preso il posto. Pur vedendo la Storia come un processo immodificabile, sente il forte desiderio di prendervi parte. E sarà questo desiderio, in un impulso poco ragionato, a portarlo alla “fossa comune”. Questo è, dunque, un romanzo importante, interessante, ragionato, ben costruito e ben scritto.
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