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Un noir intrigante e ben scritto che è permeato da quel tocco di leggerezza tipico della napoletanità
Finalmente un noir che rispetta i canoni del genere, non sfociando nel polar né tantomeno nel giallo. Molto ben caratterizzato il protagonista, che non è il solito commissario geniale o poliziotto supereroe ma un comune impiegato pubblico. Pur non lasciando -quasi- nulla in sospeso, si intravede la possibilità di un sequel, che personalmente leggerei volentieri.
Recensioni
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Con il romanzo “L’intransigenza” fa il suo esordio il filosofo Paolo Calabrò. Lo scrittore, fino ad ora, aveva pubblicato saggi filosofici intorno alla figura del teologo Maurice Bellet. In questo suo primo romanzo l’auore inserisce le sue conoscenze filosofiche in un noir che, in maniera profonda, coglie gli aspetti tipici della piccola cittadina di provincia.
In questo giallo tutto sembra capovolto rispetto ai classici noir che si leggono recentemente. Infatti il lettore non troverà il classico omicidio e neppure degli investigatori di prim’ordine, ma degli improvvisati impiegati di un piccolo comune del Casertano.
Nella parrocchia di San Leopoldo nel comune di Puntammare avviene un fatto insolito che scuote la piccola comunità. I locali della parrocchia vengono devastati, nella notte, da un balordo ed il funzionario comunale Ferdinando Varriale incarica il vigile Nico Baselice ed il tributarista Maurizio Auriemma di indagare, non tanto per scoprire i colpevoli quanto per tutelare l’immagine del comune in quanto la rettoria era di proprietà del comune.
L’indagine risulta particolare quanto i due personaggi. Auriemma è un tributarista viene da Napoli, ha un passato misterioso, dorme di giorno ed è sveglio di notte, ma soprattuto è molto abile nell’ascoltare le persone. Il vigile Nico Baselice è sempre alla ricerca di una promozione, teme la figura del suo capo, non ama legare con persone fuori dal suo giro di amicizie e cerca di allevare nel miglior modo possibile il fglio adolescente. I due improvvisati detective si muovono nell’ombra proprio per il carattere non ufficiale dell’indagine. Le indagini si incentreranno sulla Signora De Stefani catechista della parrocchia che aveva le chiavi del paese e sul parroco Don Aristide.
L’indagine, condotta principalmente dal tributarista Auriemma, è completamente diversa da quelle tradizionali. Il dottor Auriemma ha un modo tutto suo per interagire con i possibili testimoni, li mette sempre a loro agio e fa si che parlino delle loro vite senza fargli domande specifiche come se fosse un loro specifico bisogno. (“La gente non va messa sotto il torchio, deve stare a suo agio, bisogna farla parlare in libertà. E ascoltarla con attenzione , cercando di capire non tanto quello che dice, ma perchè”ag 53). Un’altro aspetto particolare che divide i due impiegati è la praticità del vigile urbano che cerca, come un normale investigatore, i fatti concreti contrapposta alla fine psicologia umana di Auriemma che cerca “una mentalità” un modo di pensare che sta dietro all’agire delle persone.
Lo scrittore è abile nel creare un’atmosfera in cui da una parte vige la più classica omertà, ma dall’altra il pettegolezzo più sfrenato verso chi non si sopporta. Una religiosità di paese forgiata sul senso di colpa più che sull’amore verso il prossimo. Il sottotitolo, i gialli del Dio perverso, rende bene l’idea di un Dio cupo che mette paura agli uomini e li fa sempre sentire colpevoli ed incapaci di redimersi. In maniera semplice l’autore fa cosi parlare Arturo, un partecipante al corso di carchismo del parroco, “A me invece il suo sembra piu un codice penale che una religione”pag 166). La catechista nasconde invece un peccato di gioventù da cui cerca di redimersi e da cui sembra non riuscire a fuggire.
Il romanzo riesce a trattare temi profondi come la religione, ma anche la difficile coesistenza fra persone di diversa provenienza con uno stile ironico e allegro. Ho trovato molto divertente la discussione sul dialetto che Calabrò mette in bocca ai due protagonisti come se fosse una vera disputa su quale dei due debba essere il vero idioma. Le frasi dei due sono significative e ne porto due ad esempio Pag 157 Parla Auriemma il napoletano “Il problema è che il casertano non è un dialetto, è solo un modo sbagliato di parlare il napoletano” ed il vigile di Puntammare risponde “Ne fai una questione di blasone?” ed ecco la pronta risposta del tributarista napoletano “No, di grammatica; visto che il casertano è un ibrido tra il napoletano ed il romano, che si parla solo a queste latitudini”.
Recensione di Luca Sanguinetti
I locali parrocchiali della chiesa di San Leopoldo, rettoria di proprietà comunale, sono stati devastati durante la notte. Ma al sindaco di Puntammare, paesino del litorale casertano, che ha a cuore più la propria immagine che la giustizia, non importa scoprire i colpevoli; a lui basta che la giunta municipale non resti invischiata in questa brutta vicenda. Così, di punto in bianco, Nico Baselice – vigile urbano – e Maurizio Auriemma – impiegato dell’ufficio tributi che esce di casa solo al calar del sole – si ritrovano a formare una squadra di investigatori loro malgrado e a condurre un’indagine irregolare e anomala che rischia di coinvolgere i nomi più in vista della cittadina e di creare uno scandalo politico senza precedenti. Un noir che non si assoggetta ai canoni classici del genere, nel quale i protagonisti si troveranno a spostarsi tra gli uffici del comune e le strade della costa, tra uomini che hanno sempre un secondo fine e donne davanti alle quali non si riesce a spiccicare una sola parola. Finendo per scoprire che spesso la mentalità collettiva miete più vittime dei singoli moventi. Sullo sfondo, un cristianesimo degenerato e dominato dal “Dio perverso”, in grado di ispirare nella migliore “buona fede” le azioni più ignobili. Come fare a individuare un criminale che agisce con una sua logica consequenziale, dalla razionalità perfettamente calcolabile... ma a rovescio?
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