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Francesca Woodman. Gli anni romani tra pelle e pellicola
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Francesca Woodman. Gli anni romani tra pelle e pellicola - Isabella Pedicini - copertina
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Francesca Woodman. Gli anni romani tra pelle e pellicola

Descrizione


È il 1977. A diciannove anni Francesca Woodman è a Roma per un soggiorno studio. Figlia d'arte, studentessa presso il Rhode Island School of Design, per lei Roma rappresenta quel luogo e quel momento in cui le suggestioni estetiche e stilistiche coltivate in America, arrivano a definitiva maturazione. Attraverso lo studio delle immagini, dei carteggi privati, degli appunti sparsi che Francesca Woodman ha lasciato ai suoi amici romani, come attraverso le testimonianze di chi ha condiviso con lei questo periodo creativo, Isabella Pedicini compone un ritratto inedito, accompagnando il lettore attraverso un intimo viaggio dove parole e immagini si intrecciano a disegnare i contorni dell'originale universo della grande fotografa. Nel lavoro di Francesca Woodman si ritrovano gli echi e le suggestioni surrealiste, l'uso del corpo come linguaggio, gli influssi dei testi di Breton uniti a quelli della fotografia americana. Francesca Woodman si trasforma e per farlo utilizza i due strumenti che permettono il suo gioco magico: il corpo e la macchina fotografica. Si arriva così a individuare al centro della sua opera il topos della metamorfosi come continuazione della vita.
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Dettagli

2012
26 gennaio 2012
136 p., ill. , Brossura
9788869653315

Valutazioni e recensioni

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Federica
Recensioni: 4/5

Ho acquistato questo libro per un esame di storia dell’arte e personalmente mi è piaciuto molto. Racconta la vita personale di questa artista e da quí capiamo il perché di molte sue scelte artistiche.

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Felice
Recensioni: 2/5

Pesantissimo, lento, inutilmente complesso. Peccato perchè ci sarebbe stato molto da scrivere su Francesca Woodman, magari con qualche foto.

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alex
Recensioni: 2/5

Decisamente troppo complesso, forse ideato per studenti di un corso avanzatissimo di storia dell'arte. Peccato che sulla Woodman non ci sia in giro nulla di meglio.

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Recensioni

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Voce della critica

Non chi è ma dove è Francesca Woodman: è questa la domanda che viene da porsi. E la risposta non è affatto ovvia, visto che non la si trova nelle foto di cui pure è oggetto assiduamente ritratto. Non è lì perché queste immagini altro non sono che depistamenti, realizzati nel continuo tentativo di raccontare un altro da sé. Voglio dire: chi fotografa Francesca Woodman? "Mi fotografo perché sono sempre disponibile" risponde. Ma non sono, i suoi, autoritratti, sono ritratti di una certa Francesca, raccontata in terza persona. E sono esplorazioni della fotografia. Dello spazio di cui la fotografia prima si appropria per poi forzarlo, scappare fuori. È così che lavora. Ritaglia lo spazio che decide di incorporare nella fotografia, lo allestisce nei minimi dettagli, e per farlo applica e cita le regole della geometria. Poi ci butta dentro una se stessa impaziente di rompere quella stessa cornice così minuziosamente disegnata. E la fotografa nell'atto in cui tenta di sottrarsi. Uscendo di scena o trasformandosi in qualcosa d'altro, confondendosi con le pietre, le pareti, le radici di un albero. Di Francesca Woodman si è detto molto, ma molto di quello che si è detto è iniziato dalla fine, ovvero dal fatto che si è tolta la vita giovanissima, nel 1981, quando aveva appena ventitré anni. Eppure non è questo che conta quando diciannovenne arriva a Roma, ben determinata a scrivere i primi capitoli della sua vita. Quando ancora non conosce la fine della storia e la vita è qualcosa da inghiottire. Come raccontare dunque la storia di un'artista senza schiacciarla a icona della malinconia, anzi, in un certo senso riabilitandola a donna morta non per depressione ma per eccesso di vita? L'anno è il 1978. Isabella Pedicini fa l'unica cosa possibile, e l'unica cosa giusta: la prende alla larga. Non spiega. Ci accompagna dentro le sue giornate, ci porta a zonzo con lei tra librerie, mercati delle pulci, ricettari semiseri, incontri e fughe. Insieme a lei entriamo e usciamo dalla libreria Maldoror (dove farà la sua prima mostra romana, riuscendo a non presentarsi il giorno dell'inaugurazione), dal Pastificio Cerere, che ancora in ben pochi sanno che cos'è, assistiamo al chiacchiericcio che intesse con amici e artisti, sbirciamo le sue lettere, cartoline, biglietti, acrobazie letterarie in cui le informazioni pratiche si mischiano a monellerie letterarie. E così, quasi senza parere, entriamo dentro il suo immaginario, cominciamo a mettere in fila i modelli visivi e non cui fa riferimento per mettere a punto un suo stile: dal surrealismo a Bacon, da Bernini alla fotografia delle origini. E va a finire che partecipiamo alla preparazione dei suoi set fotografici, per accorgerci che sono che stages di investigazione del concetto stesso di fotografia, anzi: dello spazio della fotografia. È questo, infatti, lo spazio, il convitato di pietra presente in tutto il suo lavoro. Dentro l'immagine ma anche fuori, tanto è vero che la cura con cui progettava l'esposizione delle sue opere –in relazione tra loro e con gli ambienti che le ospitavano ‒ ci legittima oggi a usare la parola installazioni. Ed è solo frequentando questo spazio, a un tempo fisico e culturale, che possiamo iniziare a capire qualcosa del personaggio che lo abita: Francesca Woodman. Maria Perosino

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