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recensione di Beneduce, R., L'Indice 1990, n.10
L'immaginario occidentale dipinge la donna nella cultura musulmana con i suoi veli, la sua rispettosa obbedienza, la sua clausura. I resoconti etnografici spesso contribuiscono a reiterare queste rappresentazioni ma scarsa attenzione ricevono le conflittualità e le tensioni che vi si nascondono. Di rado la donna viene assunta quale oggetto autonomo di riflessione antropologica, e altrettanto raramente si sottolinea che ad essere investigate sono, pur nella loro significatività, prevalentemente aree di influenza maschile. I modelli e i valori descritti dagli informatori sono pertanto lontani dal riprodurre per intero finzioni e durezze della vita quotidiana. Non sorprende che siano allora la letteratura o il cinema a darci una lettura più fedele dell'esperienza e del mondo "al femminile" nelle società islamiche: le donne che prendono corpo fra le pagine di Mahfuz o di Boudjedra o nei film di Abou-Seif, sono indubbiamente più reali.
Per restituire il giusto significato a questioni e interrogativi spesso trascurati o di difficile interpretazione, non basta evidentemente una dettagliata analisi o un'oggettiva registrazione sul campo; è necessario uno sguardo che accetta di essere parziale, che esplicita il suo coinvolgimento (sino a renderlo strumento di lavoro) e i presupposti ideologici dai quali è ispirato. È questo l'approccio che adotta Vanessa Maher nella sua analisi delle donne marocchine, raccontate nella loro capacità di determinare cambiamenti sociali o di allentare i vincoli di un potere maschile quasi assoluto grazie a sottili complicità e alleanze. Queste "reti femminili di solidarietà" fatte di scambi, di servizi reciproci, di clientele, rappresentano spesso per le donne la sola difesa contro la precarietà dell'esistenza e la pressoché totale dipendenza economica in cui generalmente vivono.
In una simile situazione di debolezza, il matrimonio può costituire una possibilità di individuazione o una strategia per rinsaldare il lignaggio. Specularmente, la famiglia di origine, accanto a limitazioni come la scelta del partner, può esercitare un ruolo protettivo per quelle donne che decidono di sottrarsi al potere del coniuge pur al prezzo della perdita di buona parte della loro contrattualità sociale, e il divorzio - frequentissimo soprattutto negli ksour, i villaggi berberi - si configura come una risorsa fondamentale per sfuggire agli obblighi e ai "rischi" del legame matrimoniale.
La famiglia e il ruolo della donna possono costituire spazi privilegiati per cogliere inoltre gli effetti delle trasformazioni economiche e sociali indotte dall'occupazione coloniale, e per svelare il carattere tutt'altro che neutrale di concetti antropologici spesso abusati o utilizzati per mascherare interessi di dominio (si pensi qui a termini esemplari come tribù o etnia). Come l'autrice ricorda, la crisi del nomadismo e lo scompaginarsi del patriarcato furono favoriti proprio dall'amministrazione coloniale francese e dai processi di inurbamento; questo fatto, accanto alle tensioni e alle separazioni mai del tutto risolte fra berberi e arabi (la "politica berbera", che i francesi introdussero teorizzando un'origine europea per i primi), produsse parallelamente il degrado di alcune forme di sussistenza e, con l'esproprio dei pascoli tribali, un vero e proprio "disastro economico" (p. 38). Infine, tali trasformazioni contribuirono a mettere in crisi la struttura tradizionale dei rapporti di coppia, e indussero un ruolo più attivo delle donne all'interno dei processi economici; sino a renderle gli "operatori economici principali" in un paese dove la logica di mercato resta ancora marginale. Almeno questo lo scenario sino ai primi anni settanta, periodo al quale risale gran parte dei materiali che costituiscono il libro della Maher.
Se si assume il punto di vista del genere (secondo una tendenza affermatasi oggi nelle scienze sociali) per analizzare una società, diventa possibile valorizzare ambiguità e contraddizioni che rischiano altrimenti di restare inesplorate. Assume rilievo ad esempio la differenza con la quale viene spiegato un rituale (il cui significato per lo più univoco dato dagli uomini si sfrangia, nelle parole delle donne, in "versioni diverse e apparentemente contrastanti", p. 22), o il fatto che, in accordo ai principi del Corano, il rapporto con la sfera monetaria è di solito mediato dagli uomini, i soli a poter avere prossimità con la realtà dello scambio commerciale e a usufruire di fatto di alcuni servizi, i soli a possedere l'aql, la ragione. Conflitti e tensioni restano d'altronde irriducibili, assumendo forme talora impreviste: quelle di un rito di possessione femminile come l'hedra, per ricordarne una. Detto altrimenti, in una società a forte segregazione sessuale, alcuni rituali possono costituire per le donne la sola possibilità di esprimere (sebbene in forme mediate o "travestite") sentimenti e aspirazioni incompatibili con i valori dominanti. Non è certo un caso se in tutto il Maghreb sono quasi esclusivamente le donne a praticare quella "scrittura" ambigua e maledetta che è il tatuaggio.
Accanto ai meriti del libro, è da rilevare però anche qualche ridondanza eccessiva; si dice invece poco sull'attività delle donne per ciò che concerne il rapporto salute/malattia, i riferimenti alla coppia caldo/freddo non vengono articolati in rapporto al sapere medico tradizionale e l'analisi di alcuni racconti popolari (nei quali non mancano certo suggestioni) viene condotta quasi unicamente sul registro della dialettica maschile vs femminile. Tuttavia non si potrebbe definirli veri e propri limiti, quanto piuttosto la condizione necessaria perché dia i suoi frutti una gerarchia tematica diversa, che riconosce priorità ad argomenti generalmente poco indagati. Solo una gerarchia rovesciata, solo un'osservazione antropologica non neutrale, permettono ad esempio di riconoscere un legarne diretto fra la discriminazione alimentare tra i due sessi e la maggiore percentuale della mortalità materno-infantile rispetto a quella maschile; solo simili approcci permetteranno di aggiungere qualcosa di più alle pur dense descrizioni etnografiche di rituali come la circoncisione o - in altre aree geografiche - di pratiche cruente come l'infibulazione, che hanno sicuramente nell'ordine sessuale e riproduttivo, nella divisione dei ruoli uno dei loro profili più problematici e contraddittori. Ed è quasi superfluo ricordare il bisogno che si ha di ricerche di questo tipo in tempi nei quali il confronto con altre culture è un impegno quotidiano.
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