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Regime fascista e Chiese evangeliche - Giorgio Rochat - copertina
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Regime fascista e Chiese evangeliche - Giorgio Rochat - copertina
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Dettagli

1990
1 gennaio 2000
349 p.
9788870161304

Voce della critica


recensione di Pombeni, P., L'Indice 1991, n. 5

Che il regime fascista facesse sorvegliare le chiese ed i gruppi evangelici non deve stupire: il regime sorvegliava tutto, e Mussolini, come ogni dittatore che si rispetti, voleva essere informato su tutto; così venivano spiati anche i cattolici. Il protestantesimo rappresentava una porzione ridotta della popolazione italiana; tuttavia il carattere "trasgressivo" della cultura protestante rispetto alla dicotomia storica italiana fra clericalismo e anticlericalismo la rendevano in ogni caso un elemento perturbatore dell'ordine.
A partire da questa considerazione, il libro ricostruisce e documenta la storia delle chiese e dei movimenti evangelici nel nostro paese. Rochat avverte che il suo lavoro non è una storia del protestantesimo italiano, ma solo della recezione di questa realtà nelle carte della polizia fascista; tuttavia utile tenendo conto degli studi specificamente dedicati all'evangelismo, cui si è aggiunta di recente una raccolta di studi curata da Franco Ghiarini e Lorenza Giorgi ("Movimenti evangelici in Italia dall'unità ad oggi. Studi e ricerche", Claudiana, Torino 1990, pp. 162, Lit 26.000). Rochat tratta un vasto numero di soggetti, compresi alcuni relativamente anomali, quali l'Ymca, l'esercito della salvezza, i testimoni di Geova; il primo capitolo offre un quadro sintetico ma preciso non solo delle premesse storiche delle varie presenze, ma anche della loro natura.
Contro queste presenze religiose, il fascismo condusse un'attività di contenimento e di intralcio, in vari casi di vera persecuzione. Ecco dunque emergere i caratteri tipici del totalitarismo: estensione arbitraria dell'interesse pubblico fino a non escludere alcun ambito della vita privata, inquinamento di tutte le relazioni sociali, ricorso sistematico al potere politico, con la conseguente distruzione di qualsiasi spazio di stato di diritto. In quest'ottica la vicenda ricostruita da Rochat è emblematica. Le chiese e le sette evangeliche non costituivano alcun pericolo per l'ordine pubblico, ma neppure per il fascismo. Se alcuni esponenti erano schierati nelle aree della sinistra radicale e socialista, Rochat ricorda che la stragrande maggioranza degli esponenti dell'evangelismo aveva sentimenti d'ordine e di obbedienza alle leggi (magari per semplice rassegnazione o per disinteresse alla politica). Del resto sono le stesse fonti fasciste a documentare quanto fosse difficile trovare un reale atteggiamento di opposizione nella maggior parte degli evangelici.
Per un lungo periodo l'altalenare dei documenti fa veramente impressione: le autorità centrali sollecitano prefetti e sedi di polizia all'occhiuta vigilanza sui protestanti, i prefetti e la polizia rispondono che sì, loro vigilano, ma in generale quella è brava gente, dalla condotta ineccepibile. La raccolta di documenti che Rochat cita con molta ampiezza non lascia spazio a equivoci. Del resto la sindrome del regime totalitario si coglie chiaramente nelle forme in cui tendono a difendersi i gruppi evangelici: essi debbono percorrere la via dell'appello personale al dittatore, protestando la propria fede fascista, la via della supplica, che a volte diviene confessione gratuita di colpe.
Questo aspetto si salda al già richiamato tema dell'assenza di uno stato di diritto. Rochat ha giustamente dedicato un capitolo al quadro legislativo, quale era andato emergendo dalla legge sui "culti ammessi" del 24 giugno 1929 (e da ulteriori disposizioni). Non solo si rileva come tali norme non servissero da sistema di garanzie (tanto è vero che nei ricorsi non si trova quasi mai un vero e proprio appello alla tutela garantita dalle leggi), ma la loro stessa funzione di inquadramento dei fenomeni sociali era marginale.
L'inquinamento dei rapporti sociali, con l'uso arbitrario di sollecitazioni politiche proprio dei totalitarismi, è più che evidente. Autorità cattoliche di vario livello cercano di usare la forza dello stato a proprio favore, denunciando il carattere antinazionale delle chiese e sette protestanti; queste si difendono (salvo poche eccezioni) propugnando il loro patriottismo e la fedeltà al Duce. Senza contare i casi in cui la regolamentazione di lotte interne alle comunità è trasferita sul piano politico col ricorso alla delazione.
Il libro mette in luce anche un altro aspetto, e cioè il tipo di cultura che informa questo intervento repressivo, al di là della sua stessa origine totalitaria. La paura del "diverso " appartiene ad una cultura che non è semplicemente il riflesso di un'adesione allo schieramento che difende il cattolicesimo italiano controriformato: sembra che nelle autorità pubbliche rimanga una solida base di cultura positivistica, evidente in una prima fase (fino alla metà degli anni trenta) nell'atteggiamento tenuto verso i pentecostali: alla perizia del medico cattolico, ancora più suggestionato dei suoi osservati nella diagnosi fa riscontro la perizia del clinico indicato come esperto dall'autorità di pubblica sicurezza, abbastanza fredda e distaccata e quindi in genere favorevole. Il fatto è confermato dall'assenza di simpatia che, invece, domina le reazioni verso i testimoni di Geova, portatori di un bagaglio cultural-religioso troppo rozzo per risultare meritevole di tutela in un quadro di riferimento positivistico.
Le autorità periferiche si fanno spesso un dovere di smentire le denunce di parte cattolica trasmesse dal centro per accertamenti; anche questo dimostra quanto la pressione cattolica fosse contenuta da una classe burocratica che usava più diplomazia che adesione verso le tesi vaticane. Ma quando la domanda di totalitarismo crescerà, non esiteranno a procedere sulla via di un inasprimento dell'azione repressiva. Il materiale che Rochat ha portato alla luce pone dunque problemi che vanno al di là del rapporto fra regime fascista ed evangelismo italiano.

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Conosci l'autore

Giorgio Rochat

1936

È un accademico, storico e saggista. È stato professore di storia contemporanea e poi di storia delle istituzioni militari nelle Università di Milano, Ferrara e Torino. Ha studiato e studia la storia militare, coloniale e politica dell'Italia contemporanea.Membro del direttivo dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia e della «Rivista di storia contemporanea», Rochat ricopre la carica di vicepresidente del centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari e della Società di studi valdesi.Tra le sue opere più recenti: La Grande Guerra 1914-1918 (con Mario Isnenghi, Bologna 2000 e 2008); Le guerre italiane 1935-1943 (Einaudi, 2005 e 2008).

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