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Il giudizio diverge a seconda di quali occhiali si decide di inforcare. Se si scelgono le lenti dell'interesse suscitato dall'oggetto della narrazione e della capacità dell'autore di restituirlo attraverso una scrittura apprezzabile, allora non si può che emettere un parere positivo. È da oltre ottant'anni che la saga di Nick and Bart affascina e, al contempo, sconvolge le coscienze. Forte di buoni strumenti stilistici, ma soprattutto di un'approfondita conoscenza della esorbitante letteratura sul tema, Tibaldo riesce a rinnovare questi sentimenti, analizzando nel dettaglio le differenti personalità dei due protagonisti. La scelta di assumere, come fonte privilegiata, la corrispondenza familiare e gli scritti pubblicati sulla stampa dell'epoca, o consegnati dagli stessi Sacco e Vanzetti ai loro biografi, va nel senso di una ricostruzione emotiva della vicenda. Diversamente, se si usano gli occhiali dello storico, il libro non aggiunge granché a quanto già noto. Errori di prospettiva conducono a sovradimensionare il quadro dei riferimenti dei due protagonisti. Il tentativo, pur lodevole, di contestualizzare i fatti alla luce degli epocali processi sociali attraversati dagli Stati Uniti nel primo ventennio del Novecento si infrange contro una rappresentazione semplificata di quegli stessi processi. Il pleonastico obiettivo di separare il campo dei buoni da quello dei cattivi fa inevitabilmente velo a un'interpretazione che si vorrebbe più equilibrata. L'effetto che viene infine a prodursi è quello di mitizzare, ancora una volta, la parabola di due lavoratori che ebbero la disgrazia di essere emigrati, italiani e anarchici quando tutto questo, nell'America "delle opportunità", era una colpa.
Roberto Giulianelli
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