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HEIDEGGER, MARTIN, La svolta
(recensione pubblicata per l'edizione del 1990)
BLANCHOT, MAURICE, La scrittura del disastro
recensione di Garritano, F., L'Indice 1991, n. 2
La filosofia del Novecento sembra ossessionata dal desiderio di sospendere gli effetti del pensiero dialettico o, se si preferisce, di fare in modo che il fantasma di Hegel smetta di turbare il sonno e i sogni di chi intende filosofare. Insomma, si ha l'impressione che una certa filosofia, nota come ontologia ermeneutica e come decostruzione, voglia a tutti i costi cambiare pagina per cercare uno spazio che Hegel, in quanto sommità della tradizione occidentale, nega. L'intera riflessione di Martin Heidegger corrisponde al tentativo di aprire una nuova via per fare filosofia, sentiero che vuol costituire una svolta rispetto alla dialettica, a una modalità di pensiero assolutamente totalizzante. Il termine "svolta" (Kehre) percorre con regolarità la produzione del filosofo tedesco; tuttavia, alcuni studiosi hanno pensato di poterla situare temporalmente (intorno al 1935, cioè con l'apparizione di "L'origine dell'opera d'arte"), distinguendo tra un primo Heidegger (quello dell'analitica esistenziale di "Essere e tempo") e un secondo Heidegger (quello della svolta).
A dire il vero, "Die Kehre" (La svolta) è il titolo di una conferenza, tenuta da Heidegger nell'inverno-primavera del 1949. Tale scritto, che dà l'impressione di rendere pubblico un diverso pensare, ripropone alcune considerazioni di Heidegger, esattamente quelle formulate in "Lettera sull"'umanismo"". In che cosa consiste la svolta che, a prima vista, sembra segnare un nuovo sviluppo nell'ambito della riflessione filosofica? Heidegger osserva che la tecnica è diretta conseguenza di un certo modo di pensare, contraddistinto dalla tendenza radicata alla concettualizzazione, grazie alla quale l'uomo esercita padronanza e dominio su ciò che lo circonda. Tutto questo implica che la verità sia considerata presente, del tutto manifesta nell'uomo e negli oggetti circostanti, sui quali l'uomo esplica il proprio sapere. A questa tradizione Heidegger contrappone un diverso modo di osservare la verità: questa non arriva a manifestarsi completamente, ma procede a darsi in modo ambiguo, nel senso che si lascia intravedere. Se questo è il modo in cui la verità appare all'uomo, si tratta di pensare che essa è corrosa interiormente e che la sua essenza sia il ritrarsi.
Se le cose stanno in questo modo, l'uomo deve cambiare atteggiamento: non può procedere sotto forma di concettualizzazione e di sapere dialettico, poiché il sapere è minacciato dalla latenza della verità. Detto altrimenti, la svolta consiste nel porre in sintonia il pensiero con questa verità, che appare e poi di nuovo appare. Insomma, Heidegger non dice niente di più rispetto a quanto affermato in opere anteriori, e niente di meno rispetto ad opere posteriori, tant'è vero ch'è legittimo pensare: avviene una svolta nel pensiero di Heidegger e dov'è collocabile?
L'interrogativo è al centro di "Cronistoria di una svolta" di Maurizio Ferraris, saggio che accompagna il testo di Heidegger e che costituisce una precisa e puntuale analisi della riflessione di quest'ultimo. Ebbene, a detta di Ferraris, non è possibile datare la svolta: essa non ha luogo n‚ con "Lettera sull"'umanismo"", n‚ con la conferenza del 1949; o, se proprio si vuole considerare questo periodo come essenziale (Heidegger propone un uomo meno attaccato a sé stesso e più disponibile verso la verità come nascondimento), è necessario considerare la svolta in modo retrospettivo. In altri termini, "La svolta" non sarebbe altro che la registrazione di un accadimento rinvenibile già in "Essere e tempo" del 1927. È qui che, per Ferraris, ha avuto luogo la svolta nei confronti della fenomenologia di Husserl. Dopo questo avvenimento, la svolta, che pare non cessare di svoltare, si sarebbe riaffermata come svolta stilistica, cioè come un particolare uso del linguaggio. Paradossalmente dunque, fa osservare Ferraris, la svolta non si è mai verificata o, se si è verificata, non ha mai avuto termine.
Crediamo che qualcosa di simile emerga in "La scrittura del disastro", testo con cui Maurice Blanchot, acuto lettore di Hegel e Heidegger, cerca di portare alle estreme conseguenze la problematica relativa all'indebolimento del discorso. Il titolo del libro è emblematico. Il disastro è come uno stadio anteriore alla verità, una sorta di origine posta fuori dallo spazio e dal tempo. Nel disastro non c'è l'uomo, n‚ c'è la verità (in ciò va osservata una critica a Heidegger, critica che ricorre puntualmente nel corpus delle opere di Blanchot, secondo cui Heidegger con la sua ontologia ermeneutica resta intrappolato nella metafisica, riproponendo una dialettica mascherata). Quanto alla scrittura, essa è additata come mezzo per condurre il discorso al disastro, per purgarlo dalle cariche aggressive dell'uomo, teso a ridurre l'alterità, a mediarla. Ecco quindi che il discorso diviene erranza, movimento ripetitivo privo di scopo perché privo dell'uomo.
Blanchot esaspera l'umanesimo heideggeriano (non auspica che l'uomo stia in prossimità dell'essere, ma prospetta la scomparsa di entrambi) e fa ciò in nome di un'etica di cui non fa parola, ma che affiora costantemente nelle pieghe della sua riflessione, soprattutto quando prospetta a Levinas che l'etica corre il rischio di divenire codice e pseudoresponsabilità. La critica di Blanchot al tentativo di Heidegger di concepire un pensiero in grado di sottrarsi all'eredità platonico-hegeliana si articola in forma di... svolta della svolta. Cosa si intende dire con tale espressione? Esattamente ciò che si coglie 'd'emblée'. Per Blanchot, la svolta heideggeriana non si sarebbe realizzata se non sul piano della progettualità e quindi in termini di riflessione filosofica, di discorso. È necessario, pertanto, operare un altro o, meglio, vari altri tentativi di svolta, producendo lo scivolamento della parola filosofica nello "spazio letterario". Tutto questo, secondo Levinas, è la peculiarità della riflessione blanchotiana, che toglie alla parola filosofica la dignità dell'ultima parola.
In queste svolte interminabili, resta da vedere se si sia voltata effettivamente pagina; o se, al contrario, il fantasma di Hegel sia qualcosa di più che un fantasma.
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