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scheda di Cases, C., L'Indice 1996, n. 3
Tre squilli, una musichetta (per lo più dei Beatles, ma può essere anche Mozart), infine la voce della segreteria telefonica che annuncia l'assenza dell'interessato e i modi della sua eventuale reperibilità. È il regno delle voci, per lo più femminili (segretaria, telefonista). In generale ci irritano, perché ci rendono più sensibile la distanza dalla persona desiderata e il meccanismo dell'alienazione. Ma c'è il rovescio della medaglia. Dopo tutto questo mondo di voci allenate alla gentilezza può essere preferibile a quello ruvido e sgarbato dei diretti interessati, gli intermediari dell'alienazione preferibili ai protagonisti. Di questo parere sembra essere Claudio Magris, che in questo delizioso libretto ci si presenta come un dongiovanni telefonico, innamorato delle voci e deluso quando ad esse si sostituisce brutalmente una voce autentica. L'incanto è spezzato, alla soave irrealtà si sostituisce l'arido vero. Tanto più quando alle voci femminili si sostituisce una "non voce disumana", quella di un apparecchio cui "per scherno hanno dato anche quel bel nome francese, répondeur, nella lingua della seduzione". Allora il narratore si decide a sabotare l'apparecchio, cominciando con il numero a lui più caro, quello con cui aveva iniziato l'impresa, il 276504, ma qualcuno l'ha tradito, c'è gente ad attenderlo al varco e lui fugge nel folto del bosco, riservandosi di telefonare di tanto in tanto dal telefono pubblico, perché "forse c'è ancora qualche vera voce in giro, quel che conta è non arrendersi...". Con questa esortazione kafkiana termina l'operetta.
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