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Se si vuole affrontare la tecnica del colloquio con una visione dall'alto della teoria e che metta in guardia dai rischi dell'oggettivazione del punto di vista del professionista, questo è il libro giusto.
Recensioni
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scheda di Politi, P., L'Indice 1992, n. 5
Nel suo primo, fortunato e preziosissimo libro dedicato al colloquio, l'autore si era paragonato all'oscuro estensore di un trattatello di tecnica istologica dei suoi anni universitari, che insegnava i primi rudimenti del "come si fa": "Tecnica del colloquio" introduceva lo psicoterapeuta in erba ai primi elementi fondamentali del colloquio clinico. Ora dal laboratorio Semi è passato in corsia e si ripromette di aiutare l'allievo motivato ad apprendere la semeiotica del colloquio. In realtà questa opera seconda si presenta come una vera e propria dissertazione metapsicologica su alcune caratteristiche del discorso del paziente e su come questo possa spontaneamente disorganizzarsi nel corso di un colloquio non orientato. In esso si tratta di come certe condizioni tecniche rendano possibile il costituirsi (nel paziente) di fenomeni che si rilevano (nel colloquio) e che debbono essere ricostruiti (nell'analista) per poter essere teorizzati (nella comunità scientifica). Tutto questo suona ineccepibile. Colpisce la sicurezza con cui viene sostenuto che nel colloquio clinico non orientato non è dato modo di affrontare il transfert. Il libro lascia infatti, a fronte delle limpide asserzioni di Semi e del suo stile dotto e arguto insieme, il sospetto che anche un semplice colloquio clinico non sia del tutto immune da piccoli, appena abbozzati movimenti che, se è fuor di luogo chiamare transferali, è un po' forzoso confinare nel solo ordine del discorso. Come sia possibile affrontare questi micromovimenti senza uscire dal seminato, non deve essere cosa facile. Ma "il colloquio - dice Semi a pagina 62 - è un'arte difficile". E su questo l'autore ci trova pienamente consenzienti.
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