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Descrizione


"La filosofia della mente si distingue dagli altri ambiti filosofici attuali per il fatto che tutte le sue teorie più famose e influenti sono false." John R. Searle, il più autorevole studioso della mente, smonta così le pretese della disciplina a cui egli stesso appartiene. Ma mentre confuta le teorie più accreditate rivela gli aspetti segreti e sconcertanti di quella elusiva entità che chiamiamo appunto mente umana. Comparsa dell'intelligenza, natura della coscienza, possibilità di un libero arbitrio, debolezza della volontà, struttura della decisione: tutto questo e altro ancora è al centro della riflessione di Searle.
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Dettagli

2005
1 luglio 2005
XVIII-282 p., Brossura
9788870789843

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lobi
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In breve, che voi propendiate per una visione materialista della mente, o che ne abbiate una visione trascendentale, se cercate degli approfondimenti, troverete questo saggio di Searle poco interessante. Searle è un filosofo, e fa filosofia, poco e niente delle sue teorie della mente può appoggiarsi veramente su basi scientifiche. E come tutta la filosofia che ha partorito il genere umano in 2.500 anni, crea delle teorie e delle immagini che nella quasi totalità dei casi, non hanno niente a che vedere con la realtà delle cose. Scusate se sono stato troppo banale, ma visto la grande fama di Searle mi aspettavo molto di più da questo saggio.

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Recensioni: 3/5

Il più autorevole studioso della mente offre un’introduzione, ammirevole per chiarezza e completezza, a una delle aree più interessanti della filosofia. “La filosofia della mente si distingue rispetto agli altri ambiti filosofici attuali per il fatto che tutte le sue teorie più famose e influenti sono false”. Così, fin dall’Introduzione, Searle smonta queste famose e influenti teorie e propone nuove e straordinarie intuizioni sulla natura della mente e della coscienza.

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Voce della critica

Come tutti gli altri libri di Searle anche questo (anzi questo come scrive in corsivo in tutto il libro per un motivo che mi sfugge) è dedicato alla moglie Dagmar. Ma diversamente da tutti gli altri sui libri a p. 12 Searle si lascia andare a un'affermazione molto impegnativa fuori linea rispetto alla sua precedente teoria per cui si può benissimo parlare per esempio di “intenzionalità” senza aver mai letto Husserl: “In filosofia non si può prescindere dalla storia”. A p. 141 tuttavia ricorda di aver battuto la testa durante un incidente di sci nel 1999. C'è un nesso? Niente paura. In primo luogo è inevitabile che il libro di Searle abbia un sia pur minimo approccio storico dal momento che si presenta come una storia della filosofia della mente e come una storia molto selettiva partigiana più che parziale perché come osserva Michele Di Francesco autore della bella introduzione all'edizione italiana una storia della filosofia della mente scritta da Searle è come una storia della Rivoluzione francese scritta da Robespierre. Inoltre fra la varie modalità di storia – monumentale antiquaria e critica – di cui parlava la buonanima di Nietzsche Searle sceglie senza esitazione la terza dal momento che dichiara in apertura che “la filosofia della mente si distingue dagli altri ambiti filosofici attuali per il fatto che tutte le sue teorie più famose e influenti sono false”. Gli è tutto sbagliato gli è tutto da rifare come Bartali o come Heidegger. Che Searle sia diventato un decostruttore?

Può darsi non sarebbe l'unica sorpresa ma resta che riconosciamo in questo libro che nasce da un ciclo di lezioni di cui porta ancora la traccia stilistica molte delle migliori qualità di Searle e in particolare la bravura nell'esporre con chiarezza didascalica e acume filosofico le idee altrui. Questo a mio parere non vale tanto per l'esposizione propriamente storiografica quando parla del comportamentismo o dell'idealismo del materialismo o della svolta linguistica bensì per la vivacità e la trasparenza con cui vengono presentati i classici argomenti che hanno punteggiato la filosofia della mente (e in generale la filosofia analitica) del secolo scorso: dall'argomento (di Searle) della stanza cinese agli argomenti degli zombi e del come ci si senta a essere un pipistrello dal cervello nella vasca ai designatori rigidi da Terre Gemelle all'artrite alla coscia… ecco mi sentirei di consigliare questo libro a studiosi di ogni ordine e grado come manuale di conversazione. A un prezzo onesto e nell'ottima traduzione di Carlo Nizzo possono incamerare tutto ciò che gli occorre per non sfigurare in un salotto o in un convegno qualora avessero investito i loro anni giovanili nello studio di filosofie ormai fuori moda che so la dottrina della grazia in Malebranche o quella delle potenze in Schelling.

Detto questo qual è la teoria che guida il doppio registro di Searle? Quella fondamentale che abbiamo visto esposta in suoi lavori precedenti e che si riassume in questo dilemma: da una parte negare che la spiegazione materialistica del mondo sia quella giusta è come credere a Babbo Natale in età adulta. D'altra parte sostenere che i fenomeni mentali possono venire assimilati in tutto e per tutto a dei fenomeni materiali non è meno assurdo del sostenere (come per l'appunto nell'argomento della stanza cinese) che se manipolo degli ideogrammi servendomi di un dizionario cinese-inglese so parlare il cinese. Rispetto a questa impostazione gli idealisti hanno torto in modo ovvio e diretto ossia semplicemente credono in Babbo Natale e la cosa finisce lì. I materialisti invece hanno torto in modo complesso e talvolta sofisticato ma alla fine hanno torto anche loro. E non è assolutamente chiaro come si possa uscire da questo dilemma anche perché Searle si pone rispetto alla faccenda in maniera interlocutoria cioè dichiara con molta franchezza che preferisce dare al lettore l'idea che ci siano delle questioni poco chiare e irrisolte piuttosto che l'impressione fallace che tutto è chiaro e risolto quando non lo è. Forse avrebbe potuto essere un po' meno socratico ma avrebbe fatto meglio a non partire da Cartesio.

In che senso? Come si vede stiamo parlando nella filosofia della mente di una alternativa tra idealismo e materialismo e questo spiega perché Searle si lasci andare a quella sconvolgente (per i suoi standard) concessione alla storia della filosofia. Giacché l'idea di Searle è che tutti i problemi della filosofia della mente sono stati più o meno una nota a piè pagina di Cartesio e della sua distinzione tra res cogitans e res extensa. Senza quella impostazione che ha poi guidato le repliche e le controrepliche dei secoli successivi non dibatteremmo di quello di cui dibattiamo quando ci occupiamo di filosofia della mente. E non si parla solo della distinzione tra mente e corpo ma anche delle altre due questioni maggiori a condivisibile parere di Searle e cioè il problema della causalità mentale (in che modo qualcosa che ho nella mente può provocare qualche effetto nel mondo esterno) e quello della intenzionalità (che cosa unisce la mia immagine di Searle che batte la testa a Squaw Valley in California con Searle che batte la testa a Squaw Valley? E a maggior ragione che cosa unisce la mia immagine di Giulio Cesare con Giulio Cesare?). L'idea di Searle è che Cartesio è stato geniale nel porre i problemi e debole nel proporre delle soluzioni che ha consegnato come dei puzzle più o meno complicati ai suoi eredi.

Io avrei una idea un po' diversa e cioè che Cartesio ha posto malissimo i problemi mentre se l'è cavata abbastanza bene nelle soluzioni. Visto che le soluzioni sono però per l'appunto soluzioni di problemi mal posti mi sembra più interessante stabilire in cosa consista l'errore di Cartesio che non sta come suggeriva Antonio Damasio in un famoso libro di qualche anno fa nell'aver distinto passione e ragione bensì nell'aver pensato che la filosofia della mente sia qualcosa che si affronta attraverso l'analisi dell'individuo isolato. Facciamoci caso: Cartesio si chiude in una stanza in una Stube ben riscaldata (anzi in una stufa come talora si traduce malamente) e in perfetta solitudine incomincia prima a dubitare dei sensi e di tutto quello che gli trasmettono; poi dopo avere escluso la materia perché incerta e ingannevole arriva allo spirito che non sa niente tranne che pensa (“sono una cosa che pensa”) e che pensando dubita. Però il fatto di dubitare è pur sempre pensiero e il soggetto solitario e dubitante possiede al proprio interno ancora una qualche forma di certezza supplementare ossia il fatto che si sente imperfetto dunque ci deve essere una qualche entità potentissima e oltretutto verace (si esclude così il demone ingannatore) che a questo punto lo rassicura su tutto quello che conosce. è un bel giro e suggerirei un giro a vuoto che lascia aperta la porta al solipsismo scava un abisso tra mente e corpo costringe ad affermazioni incredibili tipo quella per cui gli animali sembra soltanto che pensino ma in realtà sono come delle sveglie o dei girarrosto ecc.

Uno invece avrebbe potuto incominciare da Aristotele citato solo una volta di sfuggita a p. 70 dal De Anima invece che dalle Meditationes de prima philosophia e si sarebbe risparmiato tutti quei problemi (tranne poi non trovare un cane disposto a dialogare con lui in un convegno di filosofia della mente). Noi dubitiamo delle affermazioni dei nostri parenti dell'esistenza di Dio di quello che ci dicono i medici ma non dei sensi tanto è vero che se vedo arrivarmi addosso un tram mi schivo senza troppi dubbi scettici. L'anima è qualcosa che possiedono a livelli diversi le piante gli animali e gli uomini i quali in più hanno una cosa che si chiama scienza e un'altra che si chiama società. In queste sfere che per l'appunto si chiamano “scienza” e “società” e ripeto solo in queste sfere ha senso parlare di qualcosa come la “mente” che non è la generica capacità di avere delle rappresentazioni (quella la possiedono anche gli specchi) bensì quella di dare dei significati che sono tutti come tali sociali cioè condivisi non solo da Searle ma anche da Dagmar e forse in taluni casi anche dal loro cane. Che alla fine l'intelletto di Aristotele abbia potuto anche venire interpretato come un intelletto unico riflette proprio questa circostanza che i moderni sia quelli citati da Searle come Austin sia quelli non citati (come Wittgenstein a giusto titolo valorizzato da Di Francesco nell'introduzione o come Strawson) hanno declinato sostenendo che il significato è sempre qualcosa di pubblico. E “mente” non è tanto quella che vede laghi o montagne che per l'appunto potrebbero vivere senza mente (ed è un bene che sia così altrimenti arriviamo dritti a Berkeley o peggio a Baudrillard) bensì che è capace di riconoscere tasse e anni di galera matrimoni e divorzi professori dell'Università della California e skipass validi per tre giorni ossia per l'appunto quella “immensa ontologia invisibile” su cui Searle ha avuto il merito di riportare l'attenzione in un importante libro del 1995 La costruzione della realtà sociale.

La tesi di Searle in questo libro quello che sto recensendo adesso è che nella seconda metà del secolo scorso la filosofia della mente ha preso il posto della filosofia del linguaggio nel ruolo di “filosofia prima” perché la maggior parte dei filosofi ha riconosciuto che la filosofia del linguaggio era solo una parte della filosofia della mente. E questo è sacrosanto. Ma se poi però si assume che la filosofia della mente deve necessariamente porre i problemi e trovare le soluzioni partendo da un caso il solipsismo cartesiano in cui il linguaggio potrebbe benissimo non esserci giacché per ipotesi metafisica ci si chiude in una stufa e non si parla con nessuno allora la scoperta perde molta della sua importanza. Direi piuttosto (e credo che Searle sarebbe d'accordo con me anche perché questo gli permetterebbe di unificare i tre temi a cui ha dedicato negli anni la sua ricerca la filosofia del linguaggio l'ontologia sociale e la filosofia della mente) che la filosofia del linguaggio è un caso particolare di filosofia della mente solo a condizione che la filosofia della mente sia un caso particolare di ontologia sociale giacché solo in una società (fosse pure una società animale ed è per questo che troviamo ragionevole che gli animali pensino e le piante no) ha senso parlare di “mente” e di “coscienza”. Il resto è un campo di indagine rispettabilissimo e interessantissimo ma riguarda i neurobiologi non i filosofi.


Maurizio Ferraris

 


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