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Anno edizione: 2015
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Ci sono meno parti oniriche di quel che temevo, e le riflessioni del protagonista coinvolgono il lettore come solo i personaggi di Gustafsson sanno fare.
C'è tanto di Borges, di Carrol, di Kafka. I richiami al mondo di Alice sono molteplici e le atmosfere oniriche ricordano i lavori di Borges. E' un libro piacevola da leggere ma non leggero, serve un certo impegno per seguire le continue fluttuazioni dei protagonisti tra sogno e realtà. La scrittura è un po' frammentata, come la trama subisce qualche sbalzo. Io credo che la storia avesse un grande potenziale, ma forse manca qualcosa nella sua realizzazione, o forse c'è qualcosa di troppo.
Le recensioni entusiastiche di questo libro che ho avuto occasione di leggere (e la postfazione di Marta Morazzoni, scrittrice che stimo molto) non hanno lesinato richiami "alti" per Gustafsson, indicando quali suoi modelli e ispiratori niente meno che Borges, Kafka e Lewis Carroll. E in effetti c'è qualcosa di ciascun di loro, in questo romanzo. Peccato che, a mio parere, il mix non sia riuscito. L'autore, evidentemente dotato di particolare sensibilità e bravura nei toni per c.d. "crepuscolari", meno negli altri, non ha legato a sufficienza i diversi registri, passando da un inizio a metà tra Kafka e Gogol ad un finale alla Carroll (con anche due personaggi vestiti da cruciverba!); il tutto "attorcigliato" attorno ad una trama effettivamente borgesiana (il protagonista sarà reale e sogna o è il sogno di altri? e ancora: i personaggi si incontrano contemporaneamente nel presente, nel passato o in due "presenti" paralleli?), però eccessivamente allusiva e non risolta. Alla fine, la lettura mi è risultata stucchevole. L'unico momento di autentica emozione è stato scoprire, alla fine, in una breve nota, che le fotografie che corredano ed integrano il testo (un po' alla Sebald), sono state scattate dal padre dell'autore in anni nei quali anche il protagonista del romanza si impratichiva con una vecchia Kodak. Direi non molto, come "ricavo" finale.
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