Il direttore d'orchestra e scrittore austriaco August Kubizek racconta di un adolescente Adolf Hitler estasiato dopo una rappresentazione di Rienzi, opera che, dopo le prime difficoltà, rilanciò nel 1842 la carriera teatrale di Richard Wagner. Stando all'aneddoto, il connubio fra musica e vicenda storica fece germogliare nella mente del giovane nullafacente l'idea di un popolo tedesco esorcizzato sotto la propria guida. Se si tratti di favola o profezia poco importa; la nota passione hitleriana per Wagner risulta forse l'indizio meno funzionale a un lavoro in cui Maurizio Disoteo, con oggettività e coscienza storica, si impegna a dare voce e memoria a quei compositori e musicisti che i nazisti vollero cancellare dalla storia. Tra i vinti si ricordano coloro la cui vita venne stroncata nei campi di prigionia (Pavel Haas, Hans Krasa e molti altri) ma anche i perseguitati che vagarono continuamente alla ricerca di un paese in cui consumare pacificamente la propria attività artistica, come Erwin Schulhoff e Wladimir Vogel. Il nascente partito nazista si mosse all'interno di un retroterra ideologico in cui la discriminazione artistica di fondamento politico-razziale era già ben radicata. Da qui comincia il percorso critico dell'autore, che tra le prime vicende sintomatiche svela traccia di un bizzarro articolo del 1925 in cui il termine "giudaico" fu accostato alla musica di Arnold Schoenberg. Appare subito chiaro come tali epiteti risultassero poco coerenti con i principi artistici, ma molto strumentali alla propaganda politica e sociale del regime. Così nella lista nera compilata da Goebbels e compagni si trovano i più svariati stili e generi musicali, come la dodecafonia, il jazz e in generale "tutte le musiche non tonali, in quanto prive di melodia, elemento della musica in cui la schematica estetica nazista faceva risiedere l'espressione del sentimento e dello spirito 'popolare'". Proprio gli studi intorno al concetto di völkisch furono il tentativo di dare un'impronta scientifica all'ideologia artistica promossa dal partito, creando ad hoc alcune teorie che diedero luogo a una vera e propria musicologia razzista. Molti di questi esponenti al servizio del regime rimasero in attività nel dopoguerra, rivestendo ruoli importanti e impedendo un'oggettiva analisi critica delle depravazioni subite dall'arte musicale durante il periodo incriminato; così solo di recente le tematiche affrontate in Musica e Nazismo sono state approfondite dagli studi musicologici (pionieri negli anni novanta furono Albrecht Dümling e Michael H. Kater). Uno dei meriti dell'autore di questo libro è quello di aver indirizzato la ricerca su sentieri ancor poco esplorati dagli studiosi italiani. Daniele Di Virgilio
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