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scheda di Vindrola, A., L'Indice 1994, n. 2
Un'analisi dettagliata del teatro di Federigo Tozzi non può prescindere da un quesito che l'autore del saggio pone sin dalle prime righe: "Perché questo teatro del Tozzi 'non va', non funziona, non piace - e non solo per la gente di teatro, ma anche per la critica letteraria?" Fontanelli non trova una vera risposta che fughi il dubbio già espresso, all'epoca dell'insuccesso delle "Due mogli", da Ada Negri e Dario Niccodemi: che l'opera drarnmaturgica di Tozzi non funzioni perché essenzialmente 'brutta'. Di fatto, un giudizio definitivo non pare possibile all'autore senza il confronto con allestimenti moderni, con un lavoro registico acuto e pronto a cogliere le novità dell'opera tozziana. Che, per Fontanelli, ci sono e non sono poche; tanto da proporre una nuova prospettiva dalla quale esaminare l'intera produzione. Innanzitutto, anzi soprattutto, una formazione culturale che ha radici profonde e sincere nella cultura contadina, in quella Maremma senese che gli ha dato i natali, la quale - in contrasto con la "gentil" Toscana di Carducci - mostra aspetti brutali, un anarchismo violento, ma anche la capacità, rispetto ai comportamenti cittadini, di meglio assorbire i suoi malesseri, di elaborare comportamenti e soluzioni - non sempre positivi, anzi - senza esser vinti dalle costrizioni della convenzione borghese. Se questa cultura "contadina" e campagnola è, per Fontanelli, il pregio e il limite dell'opera teatrale di Tozzi, essa lo pone a un'equidistanza tanto dal naturalismo quanto dall'espressionismo germanico, dal futurismo così come dal Grand Guignol. Per contro, molte istanze della sua scrittura sembrano precorrere i tempi e avvicinarsi alla sintassi cinematografica, a schemi strutturali che procedono non per sequenze continue ma per primi piani e montaggio di immagini contrastanti.
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