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La figura di Alessandro Parronchi, nonostante i vari contributi critici e in particolare quest'ultimo volume di saggi (con interventi, tra gli altri, di Luigi Baldacci, Oreste Macrì e Silvio Ramat), non ha ancora trovato definiti contorni in sede di storia della poesia del secolo, pigramente attestata nella sua connotazione di poeta ermetico, legato alla stagione giovanile di amicizia con Luzi e Bigongiari. L'antologia personale consente ora di meditare in sintesi una lunga militanza nella poesia. Parronchi, con alcune modifiche al tragitto cronologico, ha qui ripartito la propria opera in tre sezioni: Dalla notte, che ospita le poesie fino ai quarant'anni; Coraggio di vivere, antologia fino al 1990; Nuovo cammino, le poesie, in gran parte inedite, dell'ultimo decennio. L'avvio denuncia le proprie origini, tra Campana e Luzi (e frequenti cadenze montaliane: "Ora che par che la collina odori"), ma in questo codice Parronchi ritaglia subito la sua voce: quella "pupilla serale ora impietrita / nei rami", pur nella sua forte condensazione analogica della lingua poetica degli anni trenta, ci avvia al mondo peculiare di Parronchi: l'ora crepuscolare del tramonto, il bosco, la pietra. La pietra in Parronchi vuol dire la città, i suoi angoli e i suoi muri, la materia costruttiva del luogo dell'uomo, e anche - per questo - il muto testimone di tante scelleratezze. Alla città della comunità fa da contrappunto (non si può parlare di contrapposizione in una poesia aliena dagli estremismi) il bosco, come via della solitudine, della passeggiata individuale e meditativa, roussoviana insomma. Figlio di un cacciatore, a lungo dall'infanzia Parronchi ha girovagato nei boschi, trasferendo il gusto per "preda e ricerca" in "parole e immagini": così è stato sempre catturato dalla magia del trascolorare della giornata, con le sovrapposizioni tra luce e buio, e dalla particolare maestà del bosco, tra mistero e fascino: sviluppando certe suggestioni leopardiane, ha letto con il suo classico endecasillabo nel bosco tra giorno e notte la forma di un'interrogazione alle cose, in cui s'intreccia un senso fragrante della bellezza, l'attenzione alla natura come vita e un'attesa di tipo religioso. Per tutta l'esistenza egli ha modulato e variato in molte guise il motivo, quasi sempre con una sigla elegante e suggestiva. C'è l'imbarazzo della scelta, dalle trascrizioni più accese della giovinezza ("si rinchiudono profonde / nei burroni le rose") a quelle della vecchiaia, come questa rilevazione dei mobili fari delle auto nella notte: "scompaiono, rompono / il nero fondo, investono di luce / un tratto in curva della strada, prima / che il pennello del buio non li annulli". Come si vede, vi è nella poesia di Parronchi una vocazione realistica, di taglio visivo e per nulla ideologico, ma semmai motivata da una sobria etica della giornata umana (più che del quotidiano) per cui "ogni giorno ha la sua luce", come egli stesso dice riferendosi al "lavoro continuo" della pittura di Marcucci, centrale interlocutore per tutta la vita. Da qui quel timbro di sorpresa e incanto, e di profonda fiducia, dei suoi versi che così assomigliano all'uomo Parronchi, alla sua limpidezza e a quel suo sguardo acuto e fiducioso, spesso di lieve stupore. È questo atteggiamento di sorpresa e sortilegio, scaturito dalla comune trama dei giorni, ed espresso con sobri contorni, senza speculazioni aggiunte, a dare un garbato tratto di incanto al verso parronchiano, capace di coniugare la semplicità con il trasalimento: una sorta di poetica dell'"occasione" attiva più come giustizia della vita (per storpiare un titolo luziano certo caro a Parronchi) che come sondaggio metafisico. Tra tutti gli esempi consiglio una poesia delle ultime, In autobus, dove al vecchio poeta sembra di ritrovare in una ragazza il volto antico di una cara figura; questa la conclusione di temperatissimo struggimento: "So che non può esser lei. Ma a volte gli angeli / pel nostro desiderio si reincarnano / per far capire quanto sia difficile / alle gioie del mondo dire addio". Tale poesia illustra anche il tema della ripetizione, del "replay", come ama dire Parronchi, che contraddistingue il suo bisogno di ritorno e recupero del passato per "paura che le cose muoiano". Il motivo si ritrova anche nell'altra faccia di Parronchi, nel critico letterario e d'arte, ricercatore delle opere malnote e disperse dei grandi (come Michelangelo) e sottile tessitore di trame ipotetiche di relazione (ad esempio tra Berkeley e Leopardi a proposito dell'infinito), che hanno lo scopo di affermare il ritorno continuo del sapere, di un tessuto che bene o male tutto lega. La ripetizione non è nostalgia del passato perduto, ma fede di una sua perennità, che l'uomo coglie nei "disguidi del possibile" dell'aldiqua.
Parronchi, Alessandro, Diadema. Antologia personale 1934-1997, Mondadori , 1998
Parronchi, Alessandro, "Il computar" e altri studi leopardiani, Le Lettere, 1998
Bigazzi, Isabella (a cura di) \ Falaschi, Giovanni (a cura di) , Per Alessandro Perronchi (atti della giornata di studi), Bulzoni, 1998
recensioni di Verdino, S. L'Indice del 1999, n. 11
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