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Menzionati con ironia già dal Manzoni, i dialoghi sulla nobiltà del Tasso sono stati considerati il documento curioso di una vocazione encomiastica, di un'appartenenza a quella «cultura cortigiana» che non si poteva evocare senza un implicito giudizio di riserva; sorretti, per di più, da un aristotelismo ormai in crisi le cui tassonomie sembreranno, ad un moderno interprete come Elias Canetti, un monumentale schedario capace di sottrarre ogni vitalità agli oggetti classificati. Eppure è dai «publici segni» dell'onore e della nobiltà che occorre partire per comprendere l'universo tassiano, e più in particolare la parabola esemplare dei suoi Dialoghi, dal primo abbozzo del Forno (1378) al Conte overo de l'imprese (1394): proprio all'interno dei valori del mondo nobiliare il poeta infatti intraprende l'enorme sforzo di compendiare, nel segno dell'unificazione dei saperi, una tradizione che, nonostante i dispotismi e le sperequazioni, poteva ancora additare con forza la virtus come fondamento e garanzia del vivere associato. L'edizione, che presenta i testi secondo la tradizione a stampa cinque-secentesca (al fine di ricostruire l'orizzonte della loro effettiva ricezione coeva), è corredata da una Introduzione; da schede relative all'ambientazione ed agli interlocutori, alla struttura argomentativa, alla bibliografia; da un siglario delle antiche stampe; dalle note al testo; infine da un puntuale commento che intende ricostruire, per linee essenziali, il dibattito cinquecentesco sulla nobiltà ed i suoi paradigmi storico-culturali.
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