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Lettera a uno sconosciuto - John Cage - copertina
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Lettera a uno sconosciuto - John Cage - copertina
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Dettagli

1996
580 p., ill.
9788872020074

Voce della critica


recensione di Campogrande, N., L'Indice 1996, n.10

Questa è la recensione di un libro bellissimo. Dentro c'è la storia di un uomo straordinario, ci sono i suoi pensieri e le ragioni della sua musica, ci sono i suoi amici, i suoi maestri e le sue fotografie, ci sono i suoi quadri, il catalogo delle sue opere, la sua discografia e una bibliografia sterminata. C'è persino una prefazione di Edoardo Sanguineti.
Il libro è fatto così: prima ci sono ventitré pagine gialline, che cominciano con Sanguineti e finiscono con sei epigrafi; poi ci sono quasi quattrocento pagine in carta patinata bianca che raccolgono un paziente montaggio realizzato da Richard Kostelanetz collazionando centinaia di interviste rilasciate da Cage ai più diversi interlocutori (si va dal giornaletto universitario al "New York Times" alla rivista di musicologia), scegliendo le cose più interessanti, permettendo a Cage di rivedere e (qualche volta) integrare il materiale con frasi che compaiono sottolineate e quindi organizzando il tutto in capitoli tematici - sorta di definitive interviste ideali - come "Autobiografia", "La musica" (fino al 1970) o "Filosofia sociale"; le ultime centocinquanta pagine - di nuovo su carta giallina - sono per gli apparati.
La prosa è secca e scorrevole, gli argomenti approfonditi o anche soltanto sfiorati sono tantissimi e le pagine hanno un'indubbia forza trascinante: a leggere tutto il volume, però, ci vuole del tempo. Perché ci si accorge, procedendo, che tocca ridisegnare l'immagine di Cage che si aveva in mente; tocca ripulire, selezionare, mettersi a ripensare a questioni come il caso, l'anarchia, il ruolo dell'artista, la funzione della musica, liberando il pensiero e l'attività di uno dei geni della cultura di questo secolo dalle semplificazioni infingarde e minacciose che lo hanno masticato prima di farcelo assaggiare. E per questo ci vuole del tempo.
Prendete un esempio ghiotto come quello dell'happening: dopo aver vissuto per un po' con questo libro sarete in grado di buttar via quel tanto di fricchettone che la parola trascina con sé per capire quanto invece esperienze musicali come quelle si portassero dietro un "valore esemplare di esperienza collettiva collaborante", come riassume Sanguineti, una forza che derivava dal cancellare ogni volontà individuale, ogni gesto improvvisatorio legato alla ripetizione di schemi e moduli noti per arrivare a un'autodisciplina collettiva, estemporanea e imprevedibile, che fosse un passo nella "lunga marcia dell'organizzazione dell'anarchia liberata". Modificando l'arte, insisteva Cage, si modifica la mente: l'happening è un modo radicale di modificare l'arte, dunque - contrariamente a quanto malintese imitazioni hanno sistematicamente ignorato - è un potente strumento per suggerire diversi comportamenti sociali.
Insistete a riflettere sulla scelta della composizione casuale guidata dai numeri dell'"I Ching": John Cage arriva a legarsi le mani in questo modo per "liberarsi dalla sua testa", per avvicinarsi alla sua meravigliosa e orientalissima idea di socialità della musica, di perenne transizione da un gruppo di suoni a un altro, di concerto che non ha inizio n‚ fine. "Comporre è come scrivere una lettera a uno sconosciuto. Non sento delle cose nella testa, e tantomeno mi sento ispirato. Ma non è giusto affermare, come alcuni hanno fatto, che poiché faccio uso di operazioni casuali la mia musica non sia scritta da me, ma da Dio. Dubito fortemente che Dio, ammesso che esista, si prenda la briga di scrivere la mia musica". Dovrebbero bastarvi questi due esempi per permettervi di pensare a Cage non come musicista ma come artista nel senso più ampio e completo del termine, come artista che in quanto tale è "un esperto del non ancora mai sperimentato": "Non possedendo orecchio per la musica, diversamente dalla maggioranza dei musicisti, non sento la musica quando la scrivo; la sento soltanto quando viene eseguita. Se la sentissi mentre la sto scrivendo, scriverei qualcosa che ho già sentito, ma proprio per il fatto che sentirla mi è impossibile sono in grado di scrivere qualcosa che non ho mai ascoltato prima". Né potrebbe essere diversamente per un seguace accanito delle teorie anarchiche di Thoreau, per un amico di Marcel Duchamp, per un allievo "irregolare" di Schönberg, appassionato di funghi, curioso di scacchi e straordinariamente attratto dal buddhismo zen e dalla macrobiotica.
Con l'entusiasmo che rimane addosso alla fine della lettura, volendo tentare una frase definitiva che porti su di sé la ricchezza e il senso di un libro come questo non si può che concordare con Sanguineti nella sua gioiosa ricostruzione dell'attività di Cage come di un momento storico irripetibile, quando "praticare l'impossibile" non era follia.

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Conosci l'autore

John Cage

(Los Angeles 1912 - New York 1992) musicista e scrittore statunitense. Allievo di Schönberg, amico del danzatore e coreografo M. Cunningham e del pittore R. Rauschenberg, con essi presente al Black Mountain College nel 1952, è soprattutto noto come compositore ma è in realtà uno sperimentatore della sonorità in ogni senso. Lucido esploratore del linguaggio (sonoro e non) sulla scia di G. Stein, ha scritto testi di estetica quali Silenzio (Silence, 1961, nt), diari e inoltre «partiture verbali», ossia opere felicemente in bilico tra prosa e poesia, risultanti da radicali operazioni linguistiche. In quest’ultima categoria rientrano la Conferenza su niente (Conference on nothing, 1959, nt), i testi poetici di Funghi et variationes (Mushrooms et variationes, 1983, nt) e le riscritture «aleatorie»...

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