Breve romanzo, La marcatura della regina di Giovanni Di Giamberardino (pp. 190, 9, Socrates, Roma 2012; finalista al Premio Calvino nel 2009 con il più pertinente titolo di Aristeo e le api, ovvero l'uomo nelle celle del giorno), decisamente originale sia nell'impianto che nel variegato stile. La narrazione, ambientata a Roma, si sviluppa e si conclude in un caldo 15 aprile, dall'una di notte alla mezzanotte successiva, ovvero dal ritrovamento in un cassonetto del cadavere di una donna ‒ in una via Nomentana assonante, pour cause, con la via Merulana del Pasticciaccio ‒ alla conclusione dell'indagine. L'aspetto investigativo funge da filo rosso allo svolgersi della narrazione che si snoda per ventiquattro capitoli, uno per ogni ora della giornata e per ogni personaggio (il clochard delirante, il taxista separato, lo strafottente netturbino e il netturbino laureato, poliziotti tatuati, poliziotti misteriosi e poliziotti efficienti, madri e mogli sciattamente discinte, l'eroinomane, l'attrice disposta al sesso orale per una particina
). La scrittura assume sfumature peculiari, talora gergali e dialettali, a seconda dei personaggi, tutti, in misura minore o maggiore, o magari solo tangenzialmente, toccati dall'omicidio o coinvolti. Anche gli ambienti cambiano, e così nel giro delle ventiquattr'ore siamo portati nei più diversi punti della città. È quasi come se Roma si scoperchiasse (in una sorta di aggiornato Diavolo zoppo, il celebre conte di Lesage in cui il protagonista, trasportato dal diavolo Asmodeo, ha modo di vedere, attraverso i tetti, nell'interno delle case di Madrid scoprendone le miserie) e potessimo assistere, non visti, al brulichio esistenziale di una città, al brulichio di individui resi grevi dalla fatica di vivere, e quasi potessimo condividerne sensazioni, emozioni e pensieri. Gli interni sono resi con vividezza nella loro pur plumbea realtà: lo stanco risveglio di un'impiegata tra bidet e assorbenti, l'addormentarsi di un uomo di mezza età di fronte a qualche televisiva immagine pornografica con la mano sui genitali, il rifugiarsi nel web e nei giochi di ruolo di un figlio bamboccione. Oppure sono interni di anime, come il desiderio dell'immigrato bengalese di poter almeno carezzare la sinuosa e inarrivabile Mercedes Benz 350. Arricchiscono la tavolozza degli attori una zanzara che "sa" pasolinianamente (anzi è l'unica a sapere) e il pungiglione di un'ape che viene trovato infitto nel corpo della vittima, la marcatura della regina, appunto, del titolo editoriale, il marchio di un destino d'eccezione. Il romanzo, di scrittura spesso straordinariamente incisiva (si veda la descrizione del buco dell'eroinomane, all'una di notte, o della visita della citata ‒ famelica e ironica ‒ zanzara, alle cinque del mattino, in una trasudante camera da letto di un anonimo palazzo del quartiere Aurelio), ha ambizioni filosofiche, come si può intuire dal titolo originario, sviluppate, per la verità, con mano leggera, senza andare a scapito della narrazione e del suo senso (che potrebbe essere ben riassunto con Tutte le ore feriscono
l'ultima uccide). L'apicoltore Aristeo ‒ non a caso, nel romanzo, il nome del giardiniere amante dei giacinti ‒ secondo il mito narratoci nelle Georgiche da Virgilio (indicato in calce al volume come ispiratore del romanzo, in concorrenza con Rino Gaetano, il cantautore di culto amante del nonsense, e Jack Bauer, il supereroe della serie televisiva 24) è colui che involontariamente provoca la morte di Euridice perdendo per punizione le api: ogni essere umano, chiuso nella sua cella, vuole probabilmente dirci Giovanni Di Giamberardino, è un Aristeo che finisce con il perdere ciò che più ama. Mario Marchetti
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