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Attraversata da mutamenti di paradigma – da quello organicista di fine Ottocento a quello psicodinamico della prima metà del Novecento, a quello socio-culturale della seconda metà, a quello neuroscientifico di fine secolo, in attesa del prossimo di cui è ancora difficile decifrare il segno – la psichiatria almeno una vocazione autentica l’ha scoperta, nel corso di questa così travagliata storia: che se un ruolo, una funzione ed una «potentia» vorrà e potrà continuare ad avere, sarà solo salvaguardando ed esercitando una essenziale e costitutiva dimensione «critica». E di ciò il libro di Stefano Mistura, allievo per lunghi anni e intensi di Franco Basaglia e di Giovanni Jervis, reca testimonianza, rigorosa ed appassionata ad un tempo, per i problemi e i nodi della storia della psichiatria che affronta con coraggio e senza infingimenti; per le aporie e le contraddizioni di una pratica che disvela con disincanto ma senza disperazione; per lo sforzo instancabile del pensiero – filosofico, scientifico, politico – nella piena consapevolezza che se i concetti senza esperienza sono vuoti, tuttavia le esperienze senza concetti sono cieche. Di qui viene dunque un libro che raccoglie alcune tracce dell’attraversamento di quasi mezzo secolo di storia della psichiatria, di storia del pensiero e di storia tout court, e che contribuisce a illuminare, con una chiarezza e una radicalità che raramente capita di incontrare in questo ambito, la ricerca e il lavoro di uno psichiatra il quale di fronte alla sofferenza più estrema non ha abdicato al proprio compito, cercando a tutti i costi di mantenerlo all’altezza della sua possibile dignità, e questo nonostante tutte le compromissioni e i pervertimenti che la psichiatria ha conosciuto nel corso del suo accidentato cammino, ma alla condizione di richiamarla ad una necessaria modestia e alla coscienza della sua inevitabile imperfezione, ed indossando infine l’abito di quella pazienza a cui il pensiero critico da subito ha richiamato innanzitutto se stesso.
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