Una tortura deliziosa. Pagine sull'arte di scrivere

bellissima lettura

Il libro risulta scorrevole nonostante qualche prolissità nella II parte, "Alla ricerca della propria voce", la III è un breve interludio, l'ultima una ripresa ancor più accorata e intensa della sua idea di vita. Il tutto in piena franchezza. Davvero interessanti le sue riflessioni sulla guerra, che condivido del tutto. Quando si parla di Miller lo si identifica fin troppo spesso nel tema sessuale che caratterizza i suoi romanzi più conosciuti, che raccontano la sua vita come non si stanca di ripetere, ma in questo piccolo saggio c'è molto altro. Lo consiglio vivamente, ancor più se non si è letto nulla di questo scrittore per meglio approcciarsi alle sue opere più famose.

Ricordo nitidamente un pensiero del nostro Henry preso da quel libro incantevole - la sua opera saggistica indubbiamente più bella - cioè Max e i fagociti bianchi: "Quanto all'aspettativa d'esser capiti, siate artisti o meno, deponetela presto. Si vive meglio con qualche sana rassegnazione compresa per tempo". Chi sia rimasto sotto le ruote chiodate dei due Tropici o dell'Opus Pistorum pensando che le gesta e le spinte dell'autore siano soltanto quelle (libri disperatissimi in verità, quei tre), deve entrare in questi scritti per toccare e sentire la dolcezza e l'umiltà di questo gran signore della letteratura. E' come veder affiorare da un pozzo che si crede torbido un'acqua di rigenerante squisitezza da cui attingere a mastelli pieni. Sono le sue confessioni intime su sforzi e lacerazioni di un universo creativo, travagli non leggeri e attenzioni ben dosate nel corpo di pagine che scintillano per onestà vera "alla ricerca della propria voce" per citare una delle parti nelle quali è diviso il volume. Su un punto Miller è chiaro subito: "Nessuno scrive mai quel che intendeva dire. La creazione originaria appartiene al flusso primario, non ha dimensioni né forma né contiene l'elemento tempo. Parole, frasi, idee, i voli più folli della poesia, i sogni più profondi, le visioni più allucinanti, non sono altro che rozzi geroglifici cesellati nella sofferenza e nel dolore per commemorare un evento non comunicabile". Dunque poco o nulla si padroneggia davvero se non una chiamata originaria che poi tende a svelare sempre delle crepe, nell'esito tentato. Qualcosa come una creatura che, sebbene riuscita e anche prossima al grande capolavoro, non è mai interamente quella che covava nell'idea. Stupenda riflessione nella quale l'artista, anche cosciente del proprio risultato, resta comunque dietro e piccolo di fronte a quel nido nel quale la perfezione germogliò un bel giorno. Una lezione di poesia donataci da un vagabondo che amava e investiva la vita con la sua fame di dentro.