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Finalmente una raccolta di racconti che parla al futuro, al futuro dell’Italia (“Nove visioni del nostro futuro invisibile”). Non è un’operazione commerciale, non ha l’ammiccamento poltically correct di Veltroni (che nel suo ultimo “Noi” passa direttamente a raccontare l’Italia del 2025 forse perché per lui è imbarazzante raccontare l’Italia presente), ha piuttosto il beneplacito del Comitato per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ed è la spesa migliore che il Comitato finora abbia fatto: chiedere agli scrittori di inventarsi un racconto su un’Italia possibile. La prefazione di Giorgio Vasta è degna del miglior Ilvo Diamanti. I racconti, come avviene per tutte le antologie sono alcuni riusciti, altri no. Avoledo si perde nella sua storia “frattale” (in un parcheggio non in cima - come piacerebbe a Ivano Fossati – ma in culo al mondo) tra le rovine del Paese. Bergonzoni, l’ultimo della serie, costruisce un non senso che si auto compiace troppo del suo non essere storia. Falco è perfetto, da solo vale il prezzo del biglietto, nel suo racconto ambientato in un’Italia in cui la prima risorsa del Paese sono gli anziani. I racconti di Wu Ming 1, Evangelisti, Pincio, Celestini, Bergonzoni, sono come te li aspetti, se conosci i quattro. Nella norma. Ma il livello è comunque alto. Colgono la sfida nel segno. In tutti c’è sano pessimismo, un’eccezionale tensione morale (ne basterebbe un decimo, alla politica, per cambiare davvero le cose), e soprattutto buona, sana, narrazione. Il racconto di Giuseppe Genna, invece, è da mettere a parte. E’ l’unico racconto che affonda le mani nel presente. Tutti gli altri racconti sembrano girarci intorno, all’Italia dell’annus domini 2009, fanno citazioni indirette, oppure parlano di un futuro senza passato. Genna no. Decide di parlare di noi, come siamo, come saremo. E di mettere tutti in lavatrice. A lui non interessa la coagulazione del sangue (tanto per citare Vasta nella sua presentazione). Interessa la velocità della centrifuga, la schiuma del risciacquo.
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