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"Quando tutto sembra diverso, è il momento di cominciare a riflettere", si legge in una delle Brevi interviste con uomini schifosi (1999) di David Foster Wallace. In questa sua prima raccolta di nonfiction, Zadie Smith sembra prendere l'invito alla lettera, dal momento che per ragioni estetiche ("l'incoerenza ideologica", scrive nella prefazione, "è, per me, un articolo di fede"), oltre che biografiche ("quando vieni pubblicata in giovane età, la tua scrittura cresce con te e sotto gli occhi di tutti"), considera il diritto a Cambiare idea una vera regola d'arte. Dopo tre romanzi che l'hanno resa la voce più nota della sua generazione, la Smith dimostra di saperci fare anche con la teoria letteraria, i mémoires, i pubblici discorsi, le note di viaggio, le recensioni cinematografiche. Quattrocento pagine in cui l'entusiasmo di Denti bianchi (Mondadori, 2001; cfr. L'Indice, ???) è affiancato da una competenza letteraria invidiabile, sfoggiata discutendo con Vladimir Nabokov sulle regole della creatività, con Anna Magnani sui segreti della recitazione, con Barack Obama sui trucchi dei discorsi elettorali. Le raccolte di saggi assomigliano talvolta ad armadi di vestiti sciupati, soprattutto se non hanno nient'altro in comune che l'essere ancora uncollected. Non è il caso di Cambiare idea. Mentre scriveva questi pezzi, Zadie Smith stava preparando un "libro solenne e teorico sulla scrittura", che avrebbe dovuto intitolarsi "fallire meglio". Forse è stato meglio che quel progetto sia fallito, perché è proprio la svagatezza a dare invece a questi saggi il sapore dell'intelligenza al lavoro. E a delineare, nello stesso tempo, una preziosa teoria della lettura come nutrimento, vicina alle suggestioni dell'ultimo Roland Barthes. "Bisogna decidere cosa venerare", scrive in questo senso la Smith, citando ancora Wallace. John Keats, Herman Melville, George Eliot, Franz Kafka, Zora Hurston sono alcune delle possibili alternative proposte nei suoi saggi. Se in Denti bianchi la tradizione era definita come un "sinistro analgesico", ora la Smith sembra aver cambiato idea, poiché la considera il luogo ideale in cui, per usare un'espressione di Shakespeare, "infine l'anima ha spazio per respirare" (King John, V, 7, 3). È difficile dire quale sia il più bello dei pezzi di Cambiare idea. Una delicatezza soffusa illumina in particolare i brani nati da ricordi privati, come quelli sul rapporto della Smith con il padre. Ma tracce di autobiografia si potranno seguire anche nei saggi letterari, poiché ciascuno di essi finisce per mettere in scena un'ermeneutica del dialogo, in cui il significato originario dei testi vale molto meno del riconoscimento di quello che possono ancora donare oggi. Lo si vede bene nel testo su Edward Morgan Forster, per il quale la Smith nutre da sempre una sincera adorazione (tanto da aver modellato su Casa Howard il suo ultimo romanzo, Della bellezza, Mondadori, 2006: cfr. "L'Indice", 2006, n. 9). Se c'è un principio da cui, persino in questo libro, la sua scrittura non sa derogare è proprio il precetto forsteriano in base al quale tutto ciò che conta è riuscire a gettare nuovi ponti di comprensione tra mondi dell'esperienza diversi. Cambiare idea, in questo senso, significa vivere come quando leggendo si passa da una pagina all'altra, da un libro all'altro, da una biblioteca all'altra, in un indefinito affastellarsi di voci e di storie da cui lasciarsi sedurre e trasformare. Only connect. Luigi Marfè
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