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Anno edizione: 2022
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Un'intervista che diventa biografia che diventa saggio. Sorrisi e lacrime amarissime durante il viaggio insieme al più grande scrittore degli ultimi cinquant'anni. Imperdibile.
"E tutto il pezzo di Streitfield ruotava attorno a questo: "Sei normale, sei normale, sei normale?" Più mi considero diverso dagli altri, meno riuscirò a portare avanti una conversazione con il lettore. E quindi, tutto ciò che è normale e ordinario per me è prezioso. E forse sì, può darsi che me ne vada in giro dicendo: "Io sono normale: guardate, guardate! Sono normale"". [pag. 100] C'è una dimensione reale, postuma e affascinante nell'entrare nella stanza dello scrittore, ascoltando i guaiti dei suoi cani, osservando una tazza di nicotina e saliva, condividendo pezzi alla radio e ricordi in una scatola di lamiera infreddolita, sentire il sapore del sudore ai reading, cercare di non perdere la testa, insinuandosi nelle paure nelle incertezze e senz'altro nei desideri più intimi e nei medesimi desideri intimi sapientemente travestiti da illazioni letterarie. Questa incursione in derapata esplora con uno sguardo piacevolmente intimo ma non invadente l'universo umano e letterario di David Foster Wallace [umano e letterario, letterario umano, in cui i piani si confondono sovrappongono e diventano un unico sguardo potente e doloroso sull'Uomo: "Everything I've ever let go of has claw marks on it" [Infinite Jest]], ovvero del come la Letteratura può salvarci la vita. La lotta per essere normali, la consapevolezza dell'abnormità, il desiderio di collisione con il lettore più intelligentemente efferato. Una Fortezza della Solitudine in cui immergersi senza soste di decompressione, in cui esplorare dal lato oscuro del divano il Sacrificio dell'Intrattenimento, ogni benevola carezza alla Dipendenza, in cui poter essere semplicemente confusi. Malgrado tutto si finisce per diventare se stessi. Malgrado tutto, tutti, non vogliamo che essere salvati.
Una necessaria brutta operazione commerciale. Purtroppo è impossibile leggerlo senza essere condizionati da ciò che avvenne a questo autore geniale
Recensioni
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«Gli direi [ndr a David Foster Wallace] che mi ha ricordato com'è fatta la vita, invece di offrirmene un consolante surrogato, e gli direi che mi ha fatto sentire molto meno solo quando leggo.»
Il 5 marzo 1996 David Lipsky arriva a casa di David Foster Wallace. Inviato dalla rivista Rolling Stones, all'indomani dell'uscita americana di Infinite Jest, Lipsky sta per trascorrere cinque giorni con lo scrittore balzato in pochi giorni alle vette del successo, per registrare il racconto della sua vita. Con un registratore nuovo alla mano, Lipsky viaggerà con Wallace, assistendo alle lezioni dei suoi corsi di scrittura, ai reading, ma soprattutto coinvolgendolo in una conversazione personale sulla letteratura, la scrittura, la politica, la società, e gli aspetti più privati della sua vita, quali la famiglia, la formazione, le influenze, la passione sportiva, l'assunzione di droghe.
Come diventare se stessi è dunque la trascrizione fedele del materiale registrato all'epoca: il ritratto di uno scrittore geniale e di un uomo divertente, amabile, generoso, ossessionato dalla solitudine, terrorizzato dal clamore mediatico (che poi ne ha fatto un martire e un simbolo dei nostri tempi).
"Ecco un'altra cosa che questo libro vorrebbe essere: il ritratto di com'era David quando, a trentaquattro anni, si ritrovava in mano solo carte buone e tutte le sue navi erano tornate sane e salve in porto".
Un libro on the road, fatto di divertenti aneddoti, racconti, confessioni, opinioni, che si susseguono come se stessimo assistendo a una lunga chiaccherata in autostrada, in presa diretta, senza tagli. È l'unico modo, secondo Lipsky, per non offendere la memoria di Foster Wallace, angosciato ("angoscia" è una parola che torna frequentemente nel dialogo) dal pericolo della strumentalizzazione della propria immagine da parte dei media. "Se tu volessi, insomma, al tuo pezzo fondamentalmente potresti dare la forma che vuoi. E questo è per me fonte di grandissima angoscia. Perché voglio essere io a cercare di modellare e gestire l'immagine di me che viene trasmessa". Fin dalle prime pagine, le sensazioni di Foster Wallace appaiono divise tra una naturale felicità per il successo di critica e pubblico di Infinite Jest e una consapevole diffidenza nei confronti dell'interesse che si era scatenato intorno al libro e al suo autore.
Tanti i temi toccati dai due scrittori a dialogo. La letteratura, ovviamente, al primo posto, con il suo riverbero continuo sulla realtà. I libri, per Foster Wallace, esistono per farti sentire meno solo.
Il giudizio di Foster Wallace sulla letteratura sperimentale è molto interessante e critico, e ci permette di comprendere il suo pensiero - attualissimo, sul quale si potrebbe riflettere anche oggi, trasponendolo sulla realtà editoriale italiana - sul ruolo della letteratura e il compito dello scrittore. Vale la pena riassumerlo attraverso le sue stesse parole:
"secondo me c'è un motivo per cui tanta letteratura d'avanguardia viene trascurata da tutti: e cioè che spesso se lo merita. E lo stesso vale per tanta poesia. Scritta per altra gente che scrive poesia, e non per la gente che legge. [...] C'è della letteratura sperimentale che fa veramente, ma veramente cacare, che ha una leziosità e una difficoltà fini a se stesse. [...] E il motivo per cui mi fa tanta rabbia che tanto spesso facciano cacare, e che ignorino il lettore, è proprio che le ritengo tanto, tanto, tanto preziose. Perché sono quelle che parlano di che effetto fa stare al mondo. [...] Sto parlando di che effetto fa essere vivi. E di come certi aspetti formali e strutturali della letteratura d'avanguardia secondo me riescono a vibrare, riescono a rappresentare sulla pagina l'effetto che fa essere vivi al giorno d'oggi. Ma questa è solo una delle cose che fa la letteratura. [...] Gli scrittori hanno la licenza e anche la libertà di mettersi seduti da una parte... di mettersi seduti da una parte, stringere i pugni e rendersi mostruosamente consapevoli delle cose che in genere noi percepiamo solo fino a un certo punto. E se uno scrittore fa bene il suo lavoro, in pratica non fa altro che ricordare al lettore quanto è intelligente - il lettore, intendo. Cioè, gli apre gli occhi su qualcosa che il lettore sapeva già da prima. [...] Ma ti dico la verità, guardarmi in giro per la stanza e dare automaticamente per scontato che tutto il resto dei presenti siano meno consapevoli di me, o che la loro vita interiore sia in qualche modo meno ricca, meno complicata, o percepita con meno intensità della mia, mi rende uno scrittore meno bravo. Perché significa che la mia sarà un'esibizione per un pubblico senza volto, invece che il tentativo di fare conversazione con una persona".
Conscio dell'influenza dei media e dei meccanismi della macchina promozionale, egli ricorda che la televisione - considerata troppo approssimativamente uno dei grandi mali della nostra epoca - ha offerto alla letteratura un'opportunità irripetibile. Se una delle lezioni più insidiose che la televisione impartisce è la meta-lezione che lo spettatore sia stupido, essa ha reso il lavoro dello scrittore più difficile, stimolando una complessità maggiore, capace di insegnarci nuovamente che siamo persone intelligenti. Se da un lato, dunque, è più complicato far sentire a un lettore che vale la pena leggere quello che si scrive, dall'altro cresce esponenzialmente l'importanza della sfida demandata alla letteratura e la possibilità di aprire nuovi sguardi sul mondo.
Andando alle fondamenta del problema, Foster Wallace, il profondo e lucido analista della contemporaneità che conosciamo già attraverso gli articoli e i saggi, si sofferma a lungo sull'intrattenimento, sulla ricezione passiva delle informazioni di cui ci nutriamo quotidianamente attraverso la televisione, sul desiderio di abbandonarsi a qualcosa, che si alimenta delle medesime caratteristiche di un impulso religioso distorto, o una dipendenza, tipici della società americana. Il discorso è complesso e Foster Wallace non si nasconde dietro facili soluzioni.
Come diventare se stessi ci dona un generoso, autentico ritratto della personalità di Foster Wallace e dell'universo reale e letterario che lo circonda. Ma è anche un autoritratto da non sottovalutare, nel quale sperimentiamo la bravura di Lipsky sul campo, nel conquistare la fiducia del suo interlocutore e nel condurlo attraverso certe tematiche e riflessioni. Un libro appassionato e appassionante, nel quale le voci di due grandi autori si intrecciano continuamente lungo le sconfinate strade d'America.
Recensione di Sandra Bardotti, a cura di Wuz.it
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