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Anno edizione: 2005
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Anno edizione: 2005
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Dopo la pubblicazione di L'Origine delle specie di Charles Darwin, nel 1859, lo spazio biologico alle nostre spalle, preteso vuoto dal creazionismo, cominciò a riempirsi di testimonianze fossili che indicavano come dietro di noi si aprisse una lunga preistoria, e la società di metà Ottocento conobbe la più straordinaria rivoluzione intellettuale mai vissuta dall'Europa nei millenni della sua storia.
Con queste considerazioni inizia l'ottimo volumetto dell'ormai collaudatissima coppia di antropologi Biondi-Rickards. I due autori, con una notevole capacità di sintesi e un'esposizione sempre chiara e avvincente, riescono ad aggiornare il quadro complesso e affascinante delle ricerche e delle controversie sulle nostre origini. Recentemente, infatti, lo studio dell'evoluzione umana, grazie ai ritrovamenti di nuovi resti fossili e allo sviluppo sempre più sofisticato dell'antropologia molecolare, ha subito un'autentica rivoluzione: da un albero filogenetico "lineare" che prevedeva una vera e propria successione temporale di forme fossili, dall' Australopithecus all' Homo habilis , all' Homo erectus , all' Homo neandertalensis per approdare infine all' Homo sapiens , si è passati a un modello cosiddetto "a cespuglio" che prevede la coesistenza, nei vari tempi geologici e nelle stesse aree geografiche, di più forme appartenenti a generi e specie differenti. L'ampiezza, poi, di questo cespuglio è tuttora materia del contendere, basti pensare che alcuni autori riconoscono, nel solo genere Homo , ben dodici specie differenti ( rudolfensis , habilis , ergaster , georgicus , floresiensis , erectus , antecessor , cepranensis , helmei , heidelbergensis , neandertalensis , sapiens ), mentre altri preferiscono raggruppare molte delle predette forme in quattro-cinque specie solamente.
In maniera lineare e didatticamente molto valida, gli autori spiegano perché la teoria della diffusione dell' Homo sapiens da un unico centro (modello "Out of africa" o "Eva africana") è da considerarsi più attendibile dell'ipotesi che prevede la comparsa e l'evoluzione dell' Homo sapiens in più regioni (modello multiregionale). Nel gustoso capitoletto sull'uomo di Neandertal ci viene dimostrato come i pregiudizi spesso abbiano avuto la meglio sull'indagine scientifica: ci vorranno decenni prima che i neandertaliani, in precedenza dipinti come esseri bruti, stupidi, privi di morale, dall'andatura barcollante tipo scimpanzè e pure cannibali, venissero poi riabilitati a esseri "sapienti", e oggi, pur non sottovalutando le differenze esistenti con i successivi Cro-Magnon, sappiamo che il Neandertal era in grado di lavorare finemente la pietra, di seppellire almeno occasionalmente i propri morti e di decorare il proprio corpo con pigmenti minerali.
Nell'ultimo capitolo gli autori trattano degli ultimi ritrovamenti di forme fossili avvenuti negli anni novanta in vari siti africani (cioè l' Ardipithecus , l' Orrorin e il Sahelanthropus ) e di come si possano collocare alla base nel nostro "cespuglio". Anche in questo caso esistono pareri discordanti tra i paleontologi, ma gli autori si destreggiano bene nel riportare le varie opinioni tra cui spicca, per originalità, quella dell'autorevole Morris Goodman, il veterano dell'antropologia molecolare, il quale propone di includere non solo tutti gli Australopitecini nel genere Homo , ma di includervi pure l' Ardipithecus , l' Orrorin e il Sahelanthropus che, per il tempo in cui sono vissuti, tra i sette e i cinque milioni di anni fa, si collocherebbero proprio nel periodo critico della divergenza uomo-scimpanzè.
Giuseppe Ardito
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