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A molti di noi la fame dà veramente fastidio solo quando guardiamo il telegiornale all'ora dei pasti. Oggi, poi, che i paesi in via di sviluppo non sono più tanto di moda nell'informazione televisiva, anche queste visioni non infastidiscono più. Forse, allora, la lettura del libro di Sharman Apt Russell può fra le altre cose risvegliare qualche sana inquietudine. Di inquietudine si può parlare per un argomento come questo, sicuramente affascinante per certi versi, ma per altri sicuramente inquietante. Appunto.
La fame è stata per millenni la compagna abituale di ogni essere umano, come lo è oggi di una parte dell'umanità; la fame è impressa nei nostri geni in modo indelebile, e chiunque abbia tentato di dimagrire sa che il nostro corpo è "programmato" per accumulare grassi piuttosto che per perderli; la fame ancora oggi infastidisce anche coloro per cui mangiare non è un problema. Sono questi alcuni dei "messaggi" se di messaggi si può parlare più importanti l'autrice di questo Fame ha voluto lanciare con il suo lavoro.
Definire infatti quest'opera un saggio di divulgazione scientifica sarebbe, più che riduttivo, incompleto. Il libro parte, è vero, da capitoli in cui il processo digestivo viene analizzato e spiegato accanto ai segnali biologici della fame e della sazietà, in cui le conseguenze del digiuno sul corpo umano vengono illustrate, in cui la storia della "scienza della fame", o meglio delle ricerche scientifiche su questo fenomeno, viene raccontata: gli studi dell'equipe medica del Ghetto di Varsavia, l'Esperimento Minnesota sugli effetti della fame. Si transita per capitoli che trattano l'antropologia della fame, dall'anoressia nervosa fino alla valenza mistica che alla fame veniva in passato attribuita. Si conclude poi con un'analisi della situazione attuale della fame, di che cosa significa e di come è vissuta (e distribuita) nel presente.
In mezzo a tutto ciò spaziano i contenuti delle duecento pagine di questo libro. La prima, notevole informazione è che il lavoro scientifico sperimentale sulla fame, anche se forse non così abbondante come quello in altri campi, è esistito in passato e continua a esistere. Biologi, sociologi, psicologi hanno studiato cause ed effetti della fame su organismo, mente, comportamenti sociali. Questo è accaduto tanto in ambienti "protetti", di laboratorio (in cui i soggetti dello studio erano volontari, come nell'Esperimento Minnesota), quanto in situazioni che in altri campi di ricerca potrebbero essere definite "naturali". Questo è quanto è stato fatto ad esempio dall'equipe formata dai medici prigionieri nel Ghetto di Varsavia, un'ulteriore sfida alla barbarie nazista sfruttare l'oppressione per produrre un lavoro scientifico o negli anni successivi alla carestia bellica olandese. È quanto continua a essere fatto in istituti di ricerca statunitensi, come ci viene descritto da Russell. La "grande fabbrica chimica" del corpo umano viene stimolata in maniera strabiliante per un profano da situazioni di fame prolungata. La diminuzione di zuccheri nel sangue stimola altri meccanismi di produzione di energia. Generazioni di corpi umani hanno elaborato strategie sofisticate per sopravvivere. Al tempo stesso i rapporti interpersonali, e il comportamento, sono messi a dura prova dalla fame. Addirittura ci racconta sempre Russell intere popolazioni hanno modificato il loro comportamento sociale a causa della carestia continuamente presente nelle loro vite.
Ma fame non vuol dire soltanto ricerca scientifica. Esistono e sono sempre esistiti gli acrobati, gli artisti della fame, dai fenomeni da baraccone coscienti del loro status a persone che sfruttavano per loschi fini una vera o presunta resistenza alla fame. Accanto a questi ci sono i sostenitori del digiuno per motivi mistici, spirituali, religiosi. E poi chi ha praticato e pratica lo sciopero della fame, a volte fino alla morte, per motivi ideologici o politici. Tutte persone, insomma, per cui la fame non è un'imposizione della vita alla vita, ma una libera scelta, dettata dai motivi più vari.
La fame, poi, è anche responsabilità e tragedia. Anche le problematiche dei paesi in via di sviluppo fanno parte dell'ampio tema della fame. Le politiche internazionali, le possibilità umanitarie, le strategie agricole sono anch'esse parte importante del discorso: per molti esseri umani la fame è realtà quotidiana.
Questi sono solo alcuni degli argomenti che, nel corso del libro, risvegliano appunto quel leggero senso di inquietudine, di mancanza di terreno sotto i piedi, non marcato, non terribile, ma costante. Venire necessariamente a patti con la fame, anche se solo per la durata di un libro, può fare questo effetto. Conoscere cosa può accadere per un digiuno che la maggior parte di noi non ha mai sperimentato può far pensare. Al tempo stesso l'effetto può essere catartico. Partire per questo "tour della fame", dalle diciotto ore fino ai trenta giorni di digiuno, permette un minimo di immedesimazione. L'abilità di adattarsi alla fame del nostro corpo e della nostra mente pur con le inevitabili difficoltà trascende alla fine la natura, e arriva a plasmare la società: il bisogno di cibo forgia le nostre vite e le nostre relazioni. Durante la lettura ci si rende conto di non conoscere a fondo la fame. Ma, arrivati in fondo a questa provocante miscela di scienza naturale, reportage e antropologia, si può dire di saperne di più, molto di più. E, come spesso accade, la conoscenza illumina almeno un poco le nostre paure.
Insegnante alla Western New Mexico University, Russell ha pubblicato libri di argomento quanto mai vario. Si passa con opere legate alla terra in cui vive il sud degli Stati Uniti alla botanica; l'interesse antropologico si stempera con le scienze e con l'attenzione al bello. L'ultima annotazione significativa è proprio sull'autrice, e sul suo rapporto con l'argomento del libro. Le quasi trenta pagine di "approfondimenti bibliografici" in realtà forse la bibliografia più completa sull'argomento, nonché base evidente del lavoro in questione mostrano qualcosa che è più di una passione. Se le note di copertina definiscono "incredibile" questo libro, Russell, esperta di storia naturale, di sicuro ha fatto del proprio meglio perché così fosse. E lo ha fatto soprattutto con una dedizione fortissima a un argomento assolutamente inusitato, almeno per la letteratura divulgativa.
Forse la chiave di lettura di questa dedizione appassionata è nell'ultimo capitolo, dedicato alla grande carestia dell'Irlanda del XIX secolo. La tragedia della carestia, in una nazione in cui la fame era parte della cultura, colpì in quegli anni tra le altre la famiglia del marito di Russell. E la carestia irlandese di due secoli fa riporta immediatamente alla fame di oggi: i nordirlandesi morti per lo sciopero della fame nei primi anni ottanta, la fame delle popolazioni somale.
Se non fosse una battuta scontata, si potrebbe definire questo libro bello e interessante sì, ma per certi versi difficile da digerire. Senza voler fare dell'umorismo di cattivo gusto, è preferibile definirlo un'opera di carattere peculiare, difficilmente definibile e inquadrabile in un genere. Merita sicuramente la lettura, nonostante non sia sempre una lettura rilassante.
Ugo Finardi
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