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Anno edizione: 2011
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La postfazione di Fausto Malcovati al libro di Anna Maria Carpi enuclea tutti i temi della raccolta,lasciando poco spazio di commento ad eventuali critici (e i temi sono quelli che si trovano in ogni poeta che si interroghi,quindi in ogni poeta tout court:l'immagine di sé, l'infanzia,i luoghi, gli oggetti, l'amore e la morte..)Ma quello che a Malcovati preme è il sottolineare la peculiarità di questo dettato poetico:la limpidezza,il non nascondimento.La sincerità,la chiarezza.E infatti l'autrice non lascia nessuno spazio a fraintendimenti o interpretazioni fallaci, a ricostruzioni personali e inventive del lettore. Dice tutto,spiega tutto,quasi con un'ansia di definizione che prova nei riguardi di sé stessa prima che di chi legge.E l'impressione che subito se ne trae è quella di un'infelicità senza desideri,rassegnata,pervasiva,che incombe su ogni aspetto del semplice esistere e perdurare nel tempo. E' un'accoratezza delusa che investe anche la stessa scrittura: "E' il mestiere più sconcio che c'è./Che cosa resterà di tutto questo,/di esorditi e abortiti,/di tutti noi che facciamo un po' per amore,/un po' per bisogno,ma soprattutto/per l'ansia di apparire/un istante/sullo sfacciato video del tempo./Nulla,ma nessuno vuole che resti qualcosa." Non c'è gioia,dunque,nello scrivere:forse di più nel leggere (si fanno i nomi di alcuni maestri:Bobbio,Celan,Yourcenar),o nel lasciarsi trascorrere in una vita da cui non ci si aspetta più nulla. In questa totale apatia,senso di inappartenenza,delusione verso tutto e tutti,la più grave e incisiva scontentezza riguarda la propria persona,non più all'altezza dello sforzo quotidiano di esistere,e con continue fantasie di morte: "Io-sciagura,io mio unico male". Gli amici non bastano più,sono appendici inutili che volteggiano nei riti serali di inviti,salotti, bevute,incontri che non rivelano nulla. Anche l'amore è deludente, non risponde mai al desiderio di assoluto. Solo la banalità di gesti ripetuti salva dall'abisso.
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