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Il volume è suddiviso in vari capitoli che raggruppano i diversi tipi di scrittori a seconda della metodologia usata nell’esprimere la loro gratitudine a fine volume: ci sono tra loro nomi noti, dimenticati, semi-sconosciuti e famosissimi, premi Strega e premi Campiello, che vengono catalogati sotto le categorie di vendicativi, esibizionisti, egocentrici, adulatori, encomiastici, nostalgici, aulici, allusivi, eccetera. Alcuni di loro sentono la necessità di spiegare ai lettori nelle note conclusive il processo creativo seguito nella composizione dell’opera, dilungandosi sull’architettura della stessa e sulle difficoltà incontrate; altri vantano amicizie e protezioni very important; altri ancora esprimono riconoscenza ai mostri sacri di ogni epoca ed arte, eccelsi ispiratori del loro lavoro. In molti si dicono grati ai genitori, ai partner, ai figli, ai datori di lavoro e agli animali domestici che li hanno accompagnati, sopportati, supportati, consolati nelle lunghe e faticose ore di applicazione alla scrivania. Oppure ricordano con rimpianto e nostalgia maestri, professori, padri spirituali, e persino chi li ha rifocillati e viziati con impagabili preziosità culinarie. Ci sono poi i minacciosi e i vendicativi, gli ispirati e i poetici, gli incazzati, i cauti e riservati, gli indecisi, i dubbiosi, i rancorosi, i grati a tutti e specialmente ai lettori. Infine, i misteriosi: quelli che ringraziano ma senza specificare il motivo, che deve rimanere segretissimo: noi lettori rimaniamo con questa inesaudibile curiosità di conoscere a quanto ammonti il debito contratto dall’autore in questione. Il curatore dell’antologia, Sergio Garufi, si dice convinto che “la lunghezza delle liste di ringraziamento è sempre inversamente proporzionale al valore dell’opera”. Autopromozione? Forse. Leggendo queste esagerate manifestazioni di riconoscenza, impariamo qualcosa in più sullo scrittore che ringrazia, e quasi niente sul ringraziato.
Francamente mi è sembrato un ennesimo libro inutile. Per affrontare un tema del genere sarebbe bastato un articolo su una rivista come "Vanity Fair" o simili. Un libro credo che sia uno strumento che meriti argomenti un po' più seri e profondi. Ma tant'è, se la realtà è questa, se non si può rinunciare a pubblicare libri del genere la situazione ormai è destinata a degenerare del tutto. Il numero dei lettori diminuisce mentre aumenta il numero dei libri inutili. Chi leggerà i grandi autori se la maggior parte del pubblico non è in grado di scegliere tra un testo superfluo e un libro indispensabile?
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