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I viceré - Federico De Roberto - copertina
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viceré

Descrizione


Sicilia. Fine Ottocento. Al centro del libro, quanto del film che ne è stato tratto da Roberto Faenza, è la critica del trasformismo delle classi dirigenti abbarbicate al potere e disposte, per mantenerlo, a cambiare spregiudicatamente bandiere e ideologie e a saltare sul carro del vincitore di turno; perfino delle rivoluzioni, se la posta in gioco è quella di vanificare il mutamento, di perpetuare il dominio. "Forse è venuto il tempo di Federico De Roberto" - scrive Antonio Di Grado nella sua introduzione. "Forse il lettore adulto, laico, postideologico, avvezzo al dubbio e alla demistificazione che la sua opera pretende, è già alla soglia di questo incontro decisivo: con uno dei capolavori della letteratura europea tra Otto e Novecento, con la più radicale e spietata autoanalisi che una nazione e i suoi intellettuali abbiano formulato della loro storia politica e civile e della natura e del ruolo delle loro élite dirigenti".
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Dettagli

E/O
2007
Tascabile
22 ottobre 2007
717 p., Brossura
9788876418051

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Recensioni: 4/5

Ci sono libri che non donano luce, la cui cupa narrazione è pregna di negrezza e livore: “i Viceré” di de Roberto rientra tra questi. Chi cerca bellezza, gioia e speranza, chi agogna qualcosa di edificante e ricco di buoni sentimenti è meglio che non si cimenti nella sua lettura. Per comprendere un’opera letteraria bisogna cercare di comprendere le idee dell’autore, il suo retroterra culturale ed il clima politico-sociale in cui è stata scritta. Questo libro è stato pubblicato nel 1894, un anno prima c’era stata la liquidazione della Banca Romana e la nascita della Banca d’Italia; erano scoppiate le manifestazioni dei Fasci Siciliani dei lavoratori, Giolitti si era dimesso e Crispi proclamava lo stato d’assedio mandando l’esercito in Sicilia a sedare i moti. De Roberto (1861-1927) viene spesso definito un “borghese moderato”, simpatizzante dei ceti conservatori, in realtà io penso che sia stato un vero liberale. Il fatto è che (solo) in Italia i liberali vengono considerati dei conservatori, in realtà il liberalismo è una faccia della medaglia rivoluzionaria (l’altra è il socialismo) e pertanto personalmente considero de Roberto un vero e proprio rivoluzionario. Lo si capisce dal suo feroce e costante anticlericalismo, dal suo disprezzo verso l’aristocrazia siciliana e tutto il mondo del vecchio regime borbonico. Mentre ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa trapela una sottile nostalgia per quel mondo, qui abbiamo un vero e proprio disgusto per esso. De Roberto, vissuto nei primissimi anni post-unitari, profondamente intriso di ideali liberali e anticlericali, è un rivoluzionario disilluso e pieno di risentimento per il tradimento degli ideali risorgimentali: loschi arrivisti, personaggi riciclati, politici dediti al clientelismo e nobili voltagabbana hanno sepolto, a suo parere, ogni buona intenzione sotto i macigni dell’opportunismo, della corruzione, della brama di potere e ricchezza. Un libro molto attuale che aiuta a capire molto dell’Italia di oggi.

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Ci sono libri che non donano luce, la cui cupa narrazione è pregna di negrezza e livore: “i Viceré” di de Roberto rientra tra questi. Chi cerca bellezza, gioia e speranza, chi agogna qualcosa di edificante e ricco di buoni sentimenti è meglio che non si cimenti nella sua lettura. Per comprendere un’opera letteraria bisogna cercare di comprendere le idee dell’autore, il suo retroterra culturale ed il clima politico-sociale in cui è stata scritta. Questo libro è stato pubblicato nel 1894, un anno prima c’era stata la liquidazione della Banca Romana e la nascita della Banca d’Italia; erano scoppiate le manifestazioni dei Fasci Siciliani dei lavoratori, Giolitti si era dimesso e Crispi proclamava lo stato d’assedio mandando l’esercito in Sicilia a sedare i moti. De Roberto (1861-1927) viene spesso definito un “borghese moderato”, simpatizzante dei ceti conservatori, in realtà io penso che sia stato un vero liberale. Il fatto è che (solo) in Italia i liberali vengono considerati dei conservatori, in realtà il liberalismo è una faccia della medaglia rivoluzionaria (l’altra è il socialismo) e pertanto personalmente considero de Roberto un vero e proprio rivoluzionario. Lo si capisce dal suo feroce e costante anticlericalismo, dal suo disprezzo verso l’aristocrazia siciliana e tutto il mondo del vecchio regime borbonico. Mentre ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa trapela una sottile nostalgia per quel mondo, qui abbiamo un vero e proprio disgusto per esso. De Roberto, vissuto nei primissimi anni post-unitari, profondamente intriso di ideali liberali e anticlericali, è un rivoluzionario disilluso e pieno di risentimento per il tradimento degli ideali risorgimentali: loschi arrivisti, personaggi riciclati, politici dediti al clientelismo e nobili voltagabbana hanno sepolto, a suo parere, ogni buona intenzione sotto i macigni dell’opportunismo, della corruzione, della brama di potere e ricchezza. Un libro molto attuale che aiuta a capire molto dell’Italia di oggi.

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Federico De Roberto

1861, Napoli

Di madre siciliana, studiò all’istituto tecnico di Catania, città nella quale dimorò quasi sempre, salvo un decennio (1888-97) fondamentale per la sua formazione, trascorso a Firenze e a Milano. Amico di Giovanni Verga e di Luigi Capuana, aderì subito al verismo; nel contempo subì però anche l’influsso dello psicologismo di Paul Bourget. L’alternanza, o la compresenza, delle due suggestioni si estese in tutta l'opera di De Roberto, determinando alcuni squilibri sia delle raccolte di novelle (La sorte, 1887; Documenti umani, 1888; Processi verbali, 1890), sia dei numerosi romanzi della giovinezza e della maturità (Ermanno Raeli, 1889; L’illusione, 1891; Spasimo, 1897; Messa di nozze, 1911).Soltanto nel capolavoro, il romanzo...

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