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I saggi che compongono questo volume di Christopher Hitchens offrono una difesa informata, appassionata e "di parte" (sebbene di una parte difficilmente etichettabile) di Orwell da critiche e luoghi comuni che hanno accompagnato la diffusione delle sue opere in tutto il mondo. Ricche di spunti sono le riflessioni su Orwell e la sinistra: molti esponenti di quest'ultima, secondo Hitchens, hanno spesso dimostrato nei confronti dell'autore di 1984 "confusione intellettuale, malafede e cattiveria". Significativo in tal senso il giudizio di Isaac Deutscher, secondo cui il capolavoro orwelliano aveva il difetto di essere "deprimente". Deutscher così reiterava, osserva Hitchens, lo schema con cui preti e censori per secoli avevano condannato i libri a loro avviso incapaci di "elevare le anime" e quindi inadatti alla fruizione delle masse. Analogamente, passando ai rapporti tra Orwell e la destra, Hitchens rileva le forzature talvolta effettuate nell'accostare la polemica antitotalitaria orwelliana a quella elaborata dall'anticomunismo conservatore. Di certo condizionato anche dal proprio itinerario intellettuale, Hitchens tende qui a sottolineare con particolare enfasi i legami di Orwell con il trockismo, sminuendo forse eccessivamente l'influenza della "rivoluzione manageriale" di James Burnham sul "collettivismo oligarchico" di Emmanuel Goldstein in 1984. Non stupisce infine, data la recente "americanizzazione" di Hitchens, che il maggior rimprovero da lui mosso a Orwell abbia per oggetto il giudizio negativo sugli Stati Uniti, "grande eccezione nella lungimiranza che dimostrò riguardo al secolo in cui visse".
Giovanni Borgognone
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