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Tradizione di tragedia. L'obiezione del disordine da Omero a Beckett
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Tradizione di tragedia. L'obiezione del disordine da Omero a Beckett - Pierpaolo Fornaro - copertina
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Descrizione


Più volte sottoposta a disamina secondo i parametri formali del genere letterario la tragedia appare oggi estinta; ma dopo Kierkegaard, Nietzsche e Heidegger la categoria del tragico appare al contrario necessaria ad ogni speculazione etica, teologica e gnoseologica. Nel tragico sorgivo dell'Iliade è già quel grumo concettuale irriducibile che fonda l'esperienza teatrale ateniese e, come dirompente elemento transgenere, pervade la successiva letteratura, non solo teatrale, giungendo fino a Beckett e a noi. Fino alla ritrattazione novecentesca della condanna antica pronunciata dai razionalisti Platone ed Aristotele e ripetuta da seguaci moderni come Hegel, cioè fino al riconoscimento del tragico come carattere occulto e sostanziale del nostro pensiero in Occidente.
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Dettagli

2009
1 gennaio 2009
382 p.
9788876953996

Voce della critica

L'assunto che guida Pierpaolo Fornaro nel suo saggio, accurato e puntuale nella descrizione di passaggi e svolte epocali, su una materia così vasta e per certi versi inesauribile come è la tradizione della tragedia all'interno della cultura occidentale, è che il tragico sia "esperienza probante della generale condizione umana", a rammentare all'individuo "senso e valore di precario esistere oltre ogni contraria fiducia". Il tragico così, trattato più come motivazione speculativa o concetto filosofico, che non come vero e proprio genere letterario, diventa il filo conduttore che consente all'autore non solo di riconoscere già in Omero alcuni tratti che saranno poi propri della tragedia nella sua espressione più compiuta, vale a dire quella attica del V secolo, ma anche di rilevare una continuità con la tradizione successiva, fino ai nostri pensieri più attuali. A partire dalle sue manifestazioni nei poemi omerici, il tragico è subito tensione tra forze dell'ordine e forze del disordine, tensione che travolge soprattutto lo spazio dei mortali e sui quali inevitabilmente si esercita. Ma è solo con la tragedia attica, e soprattutto con Euripide, che una riflessione veramente cosciente si accende e si amplia sul lascito iliadico e odissiaco: l'individuo è portato adesso e d'ora in poi a prendere coscienza del disordine etico del mondo, dell'assenza di giustizia e della carenza di senso. L'intensità ossessiva dell'interrogarsi e l'attenzione ai fattori caratteriali sono qui individuati come necessità del tragico fin dal suo nascere, elementi originari e costitutivi che consentono di stabilire quella continuità nel tempo della "tragedia di carattere", secondo la definizione di Aristotele, le cui varie modulazioni contraddistinguono l'intera tradizione nostra, non solo letteraria: il tragico come illustrazione di un destino culturale.
Domenico Gioda

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