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Il fantasma ridente di Jean Cocteau continua a inquietare la memoria del "secolo breve": adorato per decenni come assoluto arbiter elegantiarum delle avanguardie, poi liquidato con fastidio dalla generazione seguente (Arbasino proponeva a inizio anni sessanta in Grazie per le magnifiche rose un paragone tra Orfeo film e la passione dei turisti americani per i mostri di Bomarzo), per essere riscoperto nella sua spietata adesione a un dettato di vita come arte, è stato celebrato tra l'altro dall'articolata mostra al Beaubourg due anni fa.
Marco Dotti conferma la sua passione per l'esplorazione di luoghi segreti tra Otto e Novecento (come accadeva nel suo recente saggio Luce nera, dedicato all'incrocio tra cultura e esoterismo, alla luce degli scritti alchemici di August Strindberg, edito da Medusa nel 2006), proponendo ora un peculiare volume di Cocteau dal titolo Travestimenti, che è incentrato sulla necessità del vate parigino di trovare un alterego, una musa ispiratrice, che gli permetta di dimenticare se stesso e il proprio talento, con una modalità meno distruttiva dell'oppio. Nel bel saggio posto a prefazione, I nervi dell'acrobata, il curatore riepiloga i termini della relazione con Raymond Radiguet, teorico delle grands vacances in Il diavolo in corpo, che proponeva come unico possibile rimedio l'assoluta adesione alle necessità del gioco, del mettersi tra parentesi. Da qui la centralità di Barbette, il trapezista americano in drag che sconvolse Parigi negli anni venti, come testimoniano tanto le fotografie magnifiche (riportate nel volume) di Man Ray, che il saggio Il numero Barbette, pubblicato sulla "Nouvelle Revue Française" nel 1926, o l'apparizione nel mirabile film-manifesto Le sang d'un poète.
Al secolo Vander Clyde, nome recuperato poi in tarda età, nelle vesti di allenatore in cui lo presenta il malinconico ricordo di Francis Steegmuller (accolto qui insieme ad altri testi rari di Yukio Mishima, Marcel Jouhandeau e Jean Genet, altrettanto attratto dal rigore leggero dei funamboli), l'acrobata affascina in primo luogo il poeta per la straordinaria disciplina. Quella è la qualità precipua, sempre apprezzata nel circo, "scuola di precisione" adorata fin dall'infanzia, come ricostruisce Cocteau all'inizio del notevole volume Ritratti ricordo, presentato qualche anno fa da La Biblioteca del Vascello. Il desiderio dello scrittore di dimenticarsi, di annullarsi in altro, giocato molte volte in relazione a incontri e nell'assunzione di ruoli alternativi (come quando fu impresario nel celebre locale Le boeuf sur le toit, celebrato nel brano omonimo da Darius Milhaud), si incarna appunto nei muscoli dell'equilibrista, dando alla scrittura un fil rouge evidente legato al corpo, già messo in luce come centrale da Ezra Pound. Le apparizioni della regina circense vanno quindi di pari passo a vari interventi sul boxeur-danzatore Al Brown, a un saggio complesso sul toreare, dedicato a Dominguin o a una testimonianza per Marcel Cerdan, compagno dell'adorata Edith Piaf, che come tutti questi protagonisti del Novecento, è "ammirevole non perciò per cui è noto, ma per 'altra cosa'", che "è il fatto principale e coloro che la possiedono trionfano, perché questa 'altra cosa' non è che la poesia".
Luca Scarlini
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