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Il dottor Pascal - Émile Zola - copertina

Descrizione


Pubblicato da Zola nel 1893, il romanzo "Il dottar Pascal" costituisce il vero e proprio testo "teorico" del ciclo dei Rougon-Macquart, che comprende fra gli altri "Germinal" e "II ventre di Parigi". Pascal è fratello di Eugène, che è salito nella vita politica fino alla carica di ministro, e di Saccard, che si è arricchito con le speculazioni immobiliari e borsistiche. Medico e genetista ante litteram, Pascal ha accumulato tutta la documentazione relativa all'albero genealogico della famiglia cui appartiene; e la esamina sulla base dei principi scientifici del naturalismo di Zola, studioso di Darwin e Weismann. Convinto sostenitore del ruolo dell'ereditarietà nella determinazione dei tratti fisiologici e di carattere, Pascal avverte anche dentro di sé la tara che ha condotto alcuni suoi parenti alla follia o al crimine.
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Dettagli

2008
31 ottobre 2008
336 p.
9788876981609

Voce della critica

Quando nel 1893 esce Il dottor Pascal (ventesimo e ultimo romanzo dei Rougon-Macquart), la popolarità di Zola è ben salda, ma i professionisti della critica (l'accanito Brunetière in testa) restano fermi nell'ostracismo anti-zoliano. Il ciclo dei Rougon, mal visto sin dagli esordi, tocca l'apice dello scandalo con la pubblicazione del settimo tomo, L'Assommoir; da allora il linciaggio morale contro Zola non conosce misura (le punte più esasperate giungeranno poi con l'Affaire Dreyfus). Lui, Zola, medita tranquillo di raccogliere attacchi e stroncature in un testo mai scritto, Leurs injures; crede fermamente nel suo lavoro e si consola dell'impossibile ingresso all'Académie Françaisecon le migliaia di invidiatissime tirature (in due anni Nana raggiungeva le centosedici).
Di certo, la denuncia sociale di Zola, le sue descrizioni di vizi, ordures e miserie, spiacciono al clima conservatore (quando non reazionario) che si addensa in quegli anni. Il successo editoriale non coincide affatto con apprezzamento e tendenze dell'establishment. Edmond de Goncourt, che nella famosa prefazione di Germinie Lacerteux (1864) aveva invocato il romanzo delle "classi basse", in quella dei Frères Zemganno, tredici anni dopo, invita a rinunciare alla "canaille littéraire" in favore di soggetti più abbienti.
Per Barbey d'Aurevilly – che incarna in tre recensioni di fuoco tutto il risentimento del critico romantico-cattolico – il realismo zoliano scaturisce dalle "due cose mostruose" che stanno soffocando la vecchia società francese, il materialismo e la democrazia. Il punto di vista che avverte un'inconciliabilità tra prosaici sviluppi della democrazia repubblicana e creazione artistica si registra quotidianamente in Flaubert, e poi in Maupassant e nella cerchia Daudet. Il talento naturale di Zola non lo nega nessuno, ma il suo esercitarsi nella "poetica del Disgustoso" (ancora Barbey) ferisce, con forza oggi non facilmente immaginabile, anche lettori neo-illuministi come Anatole France; persino Henry James – il primo, forse, che userà la parola "genio" all'indirizzo di Zola – non può tacere nelle sue prime recensioni il "sacrificio alla volgarità".
La sfortuna critica di Zola nasce dunque prestissimo, quando la ventata che tende a liquidare il naturalismo (Brunetière e Bloy ne teorizzano rispettivamente la "bancarotta" e i "funerali") coincide con le ascese del simbolismo e del decadentismo. Già una dolorosa presa di distanza di discepoli zoliani dal maestro era avvenuta alla comparsa in feuilleton del fosco La Terre (1887). Il nuovo rispetto ai Rougon è A Rebours di Huysmans o il romanzo psicologico di Bourget.
Morto Zola, la sensazione dell'auteur suranné si accentua in modo esponenziale, dato l'avvento di nuove e diversissime epifanie quali la Recherche, il surrealismo, il monologo interiore. L'entrata nel nuovo secolo mitiga certamente le peggiori polemiche contro il pornografo, il "cochon", il senza-patria, il dreyfusardo; ma permangono intatti i luoghi comuni sugli eccessi del realismo, sul parvenu ignorante che assembla confusamente letteratura e documentazione, e soprattutto sulla grettezza stilistica. Curioso che una difesa, sia pur senza clamore (pochi, ma profetici spunti), sia giunta dal fronte insospettabile dei poeti: Mallarmé in primis (assertore, negli anni caldi, di poeticità e ritmo in Zola) e alcune righe dei Cahiers di Valéry, che nella cieca accumulazione zoliana distinguono un sapiente "istinto di simmetrie e risposte" che farebbe di luil'unico romanziere dotato di "composizione musicale".
Però il posto tra i grandi realisti – una linea che da Balzac giunge a Tolstoj e Dostoevskij – gli sarà negato sino a data tardissima dalla pregiudiziale marxista, mai così analitica come nel famoso saggio di Lukacs del 1940. Rispetto al realismo balzachiano – che coglieva le contraddizioni del capitalismo – e alla potenza dei suoi "individui", il naturalismo zoliano, che osserva il divenire fisiologico di una media umana, diventa per Lukacs ben poca cosa; e quando Zola stesso tende d'istinto a uscire dal suo appiattente "sistema scientifico" finisce paradossalmente con il far ricorso a un romanticismo a forti tinte alla Victor Hugo. Personaggi mai davvero memorabili, cornici ambientali potenti ma che non s'innervano nella struttura narrativa… Quella del talento nobilmente engagé di Zola, conclude Lukacs, va ascritta tra le tante "tragedie letterarie" dell'Ottocento.
La "tragedia" tende a concludersi intorno al 1960 con l'ingresso di Zola nella "Pléiade" e con l'avvio dei "Cahiers naturalistes"; il gioco al ribasso voluto per quasi un secolo dalla stampa, dall'università, dagli hommes de lettres cede il campo alla consacrazione di un classico, a un neo-Balzac del Secondo impero, studiato con minuzia sin nei certosini taccuini preparatori, nelle incursioni di critico d'arte, persino nelle prove di fotografo dilettante. A questa revanche inarrestabile si dovrà, di riflesso, in Italia, il discreto numero di traduzioni zoliane dagli anni settanta a oggi, che rimpiazzano con vantaggio quelle edite a inizio secolo da Treves (oggi si annuncia anche un'iniziativa dei "Meridiani" Mondadori).
La tardiva riproposta italiana del Dottor Pascal (non più pubblicato dal 1909 e ora benissimo tradotto da Edi Pasini e Mario Porro, e di Porro è l'imperdibile postfazione) costituisce certo un tassello dei più importanti. Difatti, nel corpus maestoso dei Rougon-Macquart (i cicli successivi sono i più modesti Les Trois Villes e l'incompiuto Les Quatre Evangiles), il romanzo, pur senza la fama di Germinal o di Nana, assolve alla perfetta chiusura di un cerchio.
Sino ad allora Zola non aveva creato un personaggio così autobiografico come Pascal e le stesse linee principali del romanzo sono una sorta di mise en abyme della "situazione" Zola. Entrambi vivono immersi nei fatti della famiglia Rougon-Macquart, all'ombra dell'albero genealogico, raccogliendo meticolosamente appunti, collegamenti, discendenze: il primo, biologo e genetista, per studiare i meccanismi dell'ereditarietà della propria famiglia; il secondo per sviluppare una saga romanzesca che abbia una struttura scientifica ispirata alla medicina sperimentale di Claude Bernard. L'ostacolo di Pascal è la madre Félicité che, da benpensante orgogliosa, tenta con ogni mezzo di distruggere il laborioso dossier di tare e nefandezze familiari; quello di Zola, l'accerchiante malevolenza di tanta critica.
Tutto tende a rendere Il Dottor Pascal, con il suo afflato di ricapitolazione del ciclo, il più epico dei romanzi zoliani: pullulare di riferimenti e leitmotiv di innumerevoli episodi precedenti, congiunzione generazionale tra decrepiti personaggi della prima ora (la zia Adelaide Rougon, classe 1768) e frutti malaticci dell'ultima generazione (l'emofiliaco Charles, classe 1857); e non ultimo, l'autodafé purificatore delle carte di Pascal a opera di Félicité, fiamme che come quelle del Goetterdammerung wagnerianosono termine e azzeramento di una lunga, elaboratissima saga (non è un caso che Thomas Mann accostasse i Rougon-Macquart al Ring di Wagner per la stretta connessione tra naturalismo, simbolo e mito). Alla distruzione dell'immenso dossier sopravvivrà l'albero genealogico, griglia principale del romanzo ma, in prospettiva, icona dell'intero corpus dei Rougon. Non accumulazione smodata di danaro (come in L'Argent), né di mercanzie alimentari (come in Le ventre de Paris), né di abbigliamento femminile (come in Au bonheur des dames): quel che rende emblematicamente più "teorico" Il Dottor Pascal è l'immane cumulo cartaceo di amare verità genealogiche, ammassato e rinchiuso nell' armadio.
Ma non meno che ricapitolazione, questo romanzo è lo sbocco naturale verso tematiche e stile dei cicli zoliani successivi. Il sacerdote Pierre Froment, protagonista de Les Trois Villes, replica non solo l'impegno filantropico di Pascal ma – quel che più conta – quella graduale, inesorabile sfiducia nei dogmi della propria missione: persa la fede, asseconda solidarmente la credulità dei guariti di Lourdes, pur convinto dell'origine isterica del "miracolo" (è il benefico effetto placebo delle siringhe riempite d'acqua che Pascal, emancipatosi da rigorismi terapeutici, ammannisce ai pazienti). La missione suprema, per entrambi, sembra essere l'amorevole propagazione della specie: il figlio lasciato da Pascal (a compenso di una vita di ricerca finita in cenere), i quattro dell'ormai spretato Froment (a sostegno di un'abiura radicale). È il tormentone di un'etica del vitalismo che porterà Zola, nell'ultimo ciclo, alle spossanti settecento pagine di Fecondité (e, cruda coerenza, a negare una firma alla petizione contro la detenzione di un ben illustre "invertito", Oscar Wilde…).
L'insolito "ottimismo" del Dottor Pascal che vede il divino nella vita stessa (una naturalità che si emancipa dalla rinunciataria sofferenza cristiana e dalla cieca fiducia scientista) apre al lirismo zoliano dell'ultima maniera. Aveva ragione Céline affermando che dopo un vertice come l'Assommoir al naturalismo restavano ben poche varianti. La stessa evoluzione di Zola verso suggestioni simboliste e un ammorbidirsi della scrittura lo confermerebbe. Difatti, all'interno della loro grandeur architettonica che tanto inquietava i diretti testimoni, i Rougon-Macquart celano sottigliezze, diversioni, turgori, visioni, ben oltre il naturalismo; non si finisce di intuirne ascendenze e rimandi. "Tanto peggio per noi – affermava un contemporaneo – se è arrivato un uomo che non si spaventa di niente".
Carlo Lauro

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Conosci l'autore

Émile Zola

1840, Parigi

Scrittore francese. Rimase presto orfano e trascorse l'infanzia e la giovinezza in gravi ristrettezze economiche. Prima di raggiungere il successo con i suoi romanzi, visse lavorando presso la casa editrice Hachette e facendo il giornalista, attività che non abbandonò mai del tutto. Considerato il caposcuola del naturalismo letterario, fu al centro di numerose polemiche artistiche, impegnandosi, tra l'altro, nella difesa di Manet e degli impressionisti ("I miei odii", 1866). Ma l'avvenimento più clamoroso della sua vita è legato al caso Dreyfus. Schieratosi con gli innocentisti, denunciò il complotto militarista e reazionario con la famosa lettera aperta (J'accuse) pubblicata su "L'Aurore" (1898). Condannato a un anno di carcere, per evitare la prigione,...

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