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In questa intervista lo scrittore David Grossman accetta di parlare di se' e risponde alle domande con estrema serieta',gentilezza e disponibilita' alla discussione .Questa tocca molti temi,tra i piu' attuali che coinvolgono chi,come lo scrittore Grossman, vive e lavora in un paese come e' oggi Israele e difende sino in fondo la scelta di restare li' e condividere tutto cio' che ne deriva . Traspare attraverso le sue parole,di tono mai aggressivo , l'estremo orgoglio di essere il cittadino israeliano che non rifiuta la sua appartenenza alla societa' moderna , ma non tralasciando di coltivare la lingua dei suoi progenitori si proietta nel futuro ,che sara' dei suoi figli,dei figli di un paese dal passato ancora dolente. Riflette con profondita' sui temi che lo coinvolgono piu' intensamente : la convivenza con i Palestinesi ,a suo parere necessaria , imprescindibilmente pacifica,per andare avanti entrambi i popoli; la scrittura come ricerca di una maturita' nell'espressione di se stessi che non deve mai deludere nessuno,in particolare colui che scrive; la famiglia,nucleo di partenza e di arrivo della sua ricerca,anche letteraria,ma non solo. Infine la consapevolezza del vivere in metafora un'esistenza molto reale, presente ma che nell'intimo di chi,israeliano , si pone dei quesiti di natura esistenziale, non si e' ancora liberata dei suoi simboli.
Recensioni
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Yehoshua, Abraham, Il cuore del mondo, Casagrande, 2000
Grossman, David, La memoria della Shoah, Casagrande, 2000
recensioni di Ruchat, A. L'Indice del 2000, n. 12
L'editore svizzero Casagrande (più di cinquant'anni di attività nel Cantone Ticino) è presente dal mese di gennaio anche in Italia con due nuove collane, quella di narrativa, "Scrittori", e quella delle "Interviste e saggi brevi", che conta oggi quattro volumi.
In particolare interessa qui segnalare le interviste prodotte dalla Televisione della Svizzera italiana per il ciclo di documentari "Scrittori israeliani. Il dolore della memoria" e condotte da Matteo Bellinelli. Si tratta di interviste lente, prolungate sull'arco di diversi giorni, in cui Bellinelli non solo scava il personaggio (David Grossman, Abraham Yehoshua, Amos Oz), ma cerca anche di cogliere il modo in cui in ciascuno di questi grandi scrittori si rispecchia l'incrocio e spesso il groviglio tra la consapevolezza di radici culturali dalla tradizione millenaria e un'apprensione indulgente nei confronti dell'agire politico di un paese considerato giovane e acerbo. Dalle prime due interviste pubblicate (Yehoshua e Grossman) emergono infatti non soltanto due scrittori molto diversi (pur citando entrambi il modello kafkiano come principale archetipo letterario), ma quasi due culture contrapposte per quanto iscritte in un medesimo tentativo di riconciliarsi con la tradizione. Mediterraneo, solare, razionale e geometrico, Yehoshua vuole lasciarsi alle spalle il mito e "ricollocarsi nella storia"; Yehoshua si interroga principalmente sulle linee di confine, sulla nozione di frontiera che separa tra loro gli stessi ebrei d'Israele ma anche gli israeliani dal mondo arabo e infine il Nord e il Sud dell'Europa. Più ebraico-orientale, discontinuo e contraddittorio, a tratti sentimentale, Grossman è convinto, al contrario, che il popolo ebraico sia ancora vittima della "maledizione" della "terra promessa" e che questa sia la sua condizione esistenziale, al tempo stesso "apportatrice di fertilità" e di perenne incertezza. Il problema di Grossman è la memoria (memoria della tradizione, memoria della Shoah) in relazione alla perdita dell'innocenza, dunque ancora una volta una linea di confine: quella tra l'infanzia e l'età adulta, nell'uomo ma anche in un paese come lo stesso Stato d'Israele.
È interessante notare come le due posizioni così contrapposte, addirittura antitetiche rispetto al patrimonio storico e culturale ebraico, si riflettano per l'uno e per l'altro nel modo di scrivere, di organizzare concretamente la stesura di un romanzo. Se il laico e razionale Yehoshua si propone in veste di Creatore - "Per me è importante sapere dove sto andando, qual è la meta, qual è lo scopo del mio romanzo. Certo, non posso e non voglio dare ricette di scrittura a nessuno, ma non credo che si possa cominciare a scrivere senza sapere dove si vuole arrivare. In ogni caso, io non posso accordarmi troppa libertà: devo poter controllare quello che faccio" -, Grossman invece, "succube del paradosso del sopravvissuto" e preda dell'ansia di sciupare il tempo che gli è concesso, scopre dentro la tradizione le proprie storie; di uno stesso romanzo scrive fino a sedici, diciotto versioni, "però arrivato all'ultimo quarto del romanzo mi fermo, non voglio conoscerne la fine anzitempo. Voglio che il libro mi sorprenda: meglio ancora, voglio che mi tradisca".
Grossman, David, La memoria della Shoah, Casagrande, 2000
scheda di Casadei, A. L'Indice del 2000, n. 11
Il libretto è costituito da un'intervista concessa da David Grossman al giornalista Matteo Bellinelli della Televisione svizzera, e riguarda l'intera attività letteraria dello scrittore israeliano. Il nucleo fondamentale non poteva non essere quello dell'interpretazione della Shoah, che rappresentava per Grossman (nato nel 1954) una sorta di sfida necessaria sin da bambino, come testimonia Vedi alla voce: amore (1986; Mondadori, 1988), tuttora uno dei romanzi più importanti tra quelli dedicati all'Olocausto: e vale la pena citare al proposito alcune frasi di grande suggestione: "Di fronte alla Shoah siamo tutti bambini, fragili e spaventati. Per noi la Shoah è un enigma così enorme, irrisolto e irrisolvibile, da ridurci tutti quanti allo stato di bambini, impotenti di fronte all'assurdo e alla tragedia". Ma l'atteggiamento etico e politico di Grossman è tutt'altro che passivo o debole: qui vengono ad esempio ricordate e commentate le sue prese di posizione nei confronti del problema dei palestinesi. Importanti poi alcune indicazioni sui modelli letterari prediletti, in particolare quello di Kafka, che viene considerato uno scrittore della Shoah ante litteram. Nel complesso, l'intervista risulta particolarmente interessante là dove le scelte artistiche di Grossman si sostanziano di una riflessione morale e civile molto coraggiosa, che porta a legare il destino del singolo a quello del suo popolo.
Alberto Casadei
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