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Anno edizione: 1988
Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2019
recensione di Cases, C., L'Indice 1989, n. 8
È come se Johann Peter Hebel (1760-1826), pastore protestante, insegnante in villaggi della nativa Svevia, poi prelato a Karlsruhe, avesse istintivamente scelto di accettare la provincialità e di estrarne il più possibile di fronte ai grandi tedeschi contemporanei che dal fondo delle loro cittadine pensavano e poetavano per l'ecumene. Scrisse stupende liriche in dialetto alemanno ("Alemannische Gedichte", 1803) e dal 1808 al 1819 pubblicò su incarico del governo del Baden "L'amico di casa renano" ("Der Rheinische Hausfrend"), un almanacco ad uso dei contadini che oltre al calendario voleva fornire notizie utili e storielle da leggere accanto al focolare. Un capolavoro di pedagogia delle classi subalterne che si capisce suscitasse gli entusiasmi, tra gli altri, di Tolstoij e di Brecht; ma anche di Kafka che soffriva della separazione tra scrittore e popolo. Del resto già il grande "cittadino del mondo" di Weimar (che, non dimentichiamolo, proprio in quegli anni cominciò a lavorare per incarico del governo bavarese a un'antologia poetica ad uso delle scuole) aveva recensito entusiasticamente le "Poesie alemanne" ed espresso più volte il suo apprezzamento per l'"Amico di casa". Nel 1811 Hebel riun 128 pezzi tratti da questa pubblicazione in un'antologia o "tesoretto" ("Schatzkastlein*) che divenne veramente un classico popolare, presente in tutte le case in cui si parlava tedesco, almeno finché questa lingua non diventò americano travestito.
Questa è la prima traduzione italiana del "Tesoretto". È integrale, il lettore potrà leggervi le storie dei fuorilegge, per cui l'autore ha una simpatia rara in un prelato, come le notizie storiche e gli aneddoti sui grandi uomini, pervasi di un illuminismo fermo anche se moderato e dell'ammirazione per Giuseppe Il e Napoleone. E potrà apprendere molte cose sulla terra e i pianeti, i rettili e gli uccelli, nonché la ricetta per fare l'inchiostro (sempre utile quando il computer rifiuta il servizio). E certo sarà toccato dalla straordinaria vicenda di "Ricongiungimento insperato" (è lo stesso motivo delle "Miniere di Falun*, che ebbe tanto successo da E.T.A. Hoffmann in poi) o dalla storia di "Kannitverstan*, che approda alla verità attraverso una serie di equivoci. Le traduzioni, a cui hanno lavorato in quattro, mi sembrano ottime al pari dell'introduzione del Guareschi e delle minuziose informazioni storico-filologiche. Non si può chiedere di meglio. Eppure temo che il lettore resti insoddisfatto. La colpa non è di nessuno: è delle aporie del tradurre.
Nel 1961 chi scrive pubblicò una scelta scolastica del "Tesoretto" (in tedesco con note italiane). Il Guareschi, cui nulla sfugge, la conosce e la cita spesso con onore, del che lo ringrazio. Ma nella prefazione sembra deplorare con molta discrezione che abbia perso il mio tempo in questa piccola impresa anziché in quella di tradurre tutto. Non ne sono tanto sicuro. Si sa che quel che conta in poesia è il come e non il che cosa, e che ciononostante si sono tradotti Gadda e il Belli, forse perché il "che cosa" vi conservava una certa importanza . Ma qui? Hebel non inventava nulla e copiava soprattutto da una pubblicazione dell'instancabile Fritz Nicolai, il "Vademecum per gente allegra". Ora mi domando come farà il lettore italiano a distinguere la straordinaria prosa di Hebel da quella di queste umili fonti. Con questo non voglio insistere con Heidegger, autore anche lui di un saggio sul suo corregionale Hebel (come Benjamin, Bloch e altri illustri filosofi più o meno alemanni), sulle profondità abissali della "Heimat" da cui emerge il linguaggio hebeliano. A parte Heidegger, siamo tutti illuministi (Hebel per primo) e non crediamo in questo fondo oscuro dell'anima contadina che si rivela solo nel dialetto. Casomai è vero il contrario, e cioè il profumo intraducibile del linguaggio di Hebel sta nel fatto che esso realizza l'antico sogno della fusione della lingua e del dialetto, del particolare e dell'universale; il protendersi del linguaggio "naturale" verso la comunicazione razionale, il trapassare della spontaneità in cultura senza che il primo elemento sia mai rinnegato. Sicché ogni storiella, indipendentemente dal contenuto che può essere banalissimo, diventa già nella formulazione un pezzo di utopia concreta. Per questo (e probabilmente anche perché allora nessuno mi avrebbe pubblicato la traduzione) mi risolsi a suo tempo per un'edizione commentata ad uso delle scuole e delle persone colte, come si diceva una volta. Benvenuta sia la versione completa, purché si tenga presente che essa non può che ribadire il paradosso del volgarizzare: fai in modo che tutti sappiano, ma forse allora nessuno saprà più. Molti grandi uomini si sono entusiasmati per il "Tesoretto": nessuno, ch'io sappia, leggendolo in traduzione.
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