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“Al di sopra delle cose” è una raccolte composta da 44 brevi, a volte brevissimi capitoli. La scrittrice è Yasmine Reza, e si cimenta per la prima volta con il genere narrativo, essendo celebre (maggiormente all’estero che in Italia, in effetti) piuttosto come autrice di piéces teatrali. Il libro esce in Italia con notevole ritardo, essendo stato pubblicato in Francia nel 1996. Si tratta di un’opera fortemente autobiografica. Ogni capitolo è fondamentalmente una riflessione, un pensiero su un tema o su un particolare episodio inerente la vita di tutti i giorni. Tali riflessioni mettono in luce una donna che definire affascinante e’ riduttivo: una donna estremamente sensibile, capace di cogliere sfumature indistinguibili per i più, e da queste far nascere considerazioni profondissime. Il tutto costantemente pervaso da una vena decisamente pessimistica, o quantomeno disincantata. Una donna, la Reza, che sembra affrontare la vita con estremo realismo, senza false illusioni o false speranze, ma non per questo fredda o addirittura ‘arida’. Anzi, esattamente il contrario. Questi aspetti, cosi’ contrastanti tra di loro, vengono prepotentemente fuori, ad esempio, nei capitoli che hanno come protagonista il padre della narratrice. I due sono accomunati da un intenso amore nei confronti della musica, ed anzi il titolo originario dell’opera (Hammerklavier) è tratto dalla omonima sonata di Beethoven che entrambi, padre e figlia, studiano, ciascuno con un maestro differente, quasi di nascosto l’uno dall’altro. Quando il padre, oramai alla fine della propria esistenza, vuole suonare alla figlia l’adagio della sonata (“Non è difficile.”), non vi riesce, ed anzi è penosa l’immagine del vecchio che ogni volta ricomincia da capo, ogni volta pateticamente adducendo una scusa diversa. La figlia, invece di piangere, ha la reazione opposta, ed a stento reprime le risate più grasse, nel sentire “…Hammerklavier massacrato per l’ultima volta.”. Questa reazione, a prima vista crudele, è, a ben ragionare, quella che denota al nocciol
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