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Un codice per interpretare la realtà, questo di Gabriela Fantato: e non solo. Per penetrare il tempo, e in qualche modo, rigorosamente, delinearlo, limitarlo ("geometria" è termine ricorrente, in questi versi, insieme a perimetro, a retta...). Ma un codice decisamente terrestre, fisico, ancorato alla materia, al suolo ("La terra è tutta solchi- una marcia."; "Potrei stendermi nell'erba, essere un sasso o una radice"), e anche all'acqua, incombente come minaccia, tracimazione, forza della natura (fiume, fango, palude, mare: "c'è l'acqua pronta all'inondazione"; "un'acqua che viene/ e slitta, vedi s'avvicina"). Il colore che domina è in realtà l'assenza del colore: il bianco ("Nella fatica del paesaggio resta/ un bianco ostinato), inteso forse come assenza o cancellazione, e ribadito dalla scelta di sostantivi che indicano un'incisione violenta ( nelle cose, nei sentimenti, nei ricordi) : "taglio", innanzi tutto, vocabolo che troviamo più volte nella raccolta, e che la chiude con perentorietà : "Solo nel taglio esatto/ a volte riposo". Ma anche coltello, gancio, falce, chiodo; e poi crepa, solco, spigoli, colpo. Una poesia che insiste più sul battere che sul levare (il verbo "battere" nelle sue varie coniugazioni torna otto volte!), più sull'ostinazione che sul condono, più sulla ferita che sulla guarigione. Anche l'amore è severo, non si concede leggerezza: "la tenerezza, una stanza mai aperta/ insetti e anni corrono, si agitano"; "Dentro lo specchio mi chiami bambina, / mi chiami cagna e piangi"; "Non mi consolare con una minestra,/ non fare la fine che ti aspetta." Ed è quasi sempre l'addio il momento che prevale all'interno del rapporto amoroso; la mancanza, il rimpianto, l'insufficienza. Un libro "del destino e della maturità", lo definisce Milo De Angelis nella prefazione: senz'altro un libro scabro e sapiente, che non conosce indulgenze, in primo luogo verso l'autrice stessa, inflessibile scandaglio di se stessa: " ho visto i bordi di me".
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