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La morte sospesa
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1992
256 p.
9788878081017

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Bubu
Recensioni: 5/5

Molto emozianante e decisamente bello, da leggere tutto d'un fiato!!!

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Antonio
Recensioni: 5/5

Un avventura narrata con superbia, piena di fascino che ti fa capire che ci sono alcuni passi nella vita dove hai BISOGNO di qualcuno, ma soprattutto di TE STESSO.

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zombie49
Recensioni: 5/5

1988.Gli alpinisti inglesi Joe Simpson e Simon Yates raggiungono la vetta del Siula Grande nelle Ande peruviane dall’inviolata parete W. Racconto di tensione avvincente sulle difficoltà della scalata, il cammino in cresta dove si salvano reciprocamente la vita, e anche gli errori e la paura, raramente descritti in un libro di alpinismo. Durante la discesa Joe cade e si rompe una gamba: una sentenza di morte, in montagna. Il compagno, a rischio della propria vita, lo cala x innumerevoli tiri di corda, 1000m. di dislivello. Ma nell’ultimo, Joe rimane sospeso, nell’impossibilità di raggiungere la parete e di dare al compagno la possibilità di recuperare la corda. Dopo 1h. la scelta disperata ma razionale: Simon taglia la corda x non morire anche lui. Joe precipita in un crepaccio, ma non muore, e inizia la sua battaglia x la sopravvivenza: conoscenze tecniche, istinto, rassegnazione, rabbia, allucinazioni. Un racconto stupendo, che fa vivere al lettore, ora x ora, il dolore straziante alla gamba ferita, il progredire strisciando, metro dopo metro, verso il campo e la salvezza. Scritto da un autore non professionista, è il miglior libro di montagna che abbia mai letto.

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scheda di Papuzzi, A., L'Indice 1992, n.11

Queste pagine, tra le più avvincenti che si possano leggere di letteratura alpinistica, grazie anche alla bella traduzione, si aprono con una dedica a Simon Yates, "per un debito che non potrò mai saldare". Yates era il compagno di Simpson in una avventurosa scalata sulla parete Ovest della Siula Grande, una vetta a 6.536 metri nelle Ande peruviane, estate 1985. Colti, sulla cima, da una violenta bufera, i due scendono in condizioni difficilissime; Simpson si frattura una gamba e Yates cerca di calarlo, per seracchi di ghiaccio, con laboriose manovre di corda, complicate dal gelo e dall'oscurità, finché decide di tagliare la corda, in senso letterale, lasciando cadere l'amico in un crepaccio e tornando a valle con la convinzione, e il rimorso, che sia morto. Questo è il debito che Simpson ha con Yates: grazie al suo gesto disperato, aver incontrato la morte e averla sfidata e sconfitta. Siamo negli anni dell'alpinismo moderno, ma il racconto fa rivivere tempi epici. In particolare mi ha ricordato un eccezionale libriccino di Reinhold Messner, "Il limite della vita", pubblicato da Zanichelli una decina di anni fa, in cui si ricostruiscono, sulla base di uno studio di inizio secolo, straordinari episodi di sopravvivenza in montagna e si analizzano le reazioni e la psicologia dei sopravvissuti. Quelle esperienze, in cui si mescolano tenacia, fatalismo, allucinazioni, istinti, la confidenza con la morte e un sentimento nietzscheano - o meglio lammeriano - della forza che possiamo trovare dentro noi stessi, si rispecchiano nella terza parte del romanzo: il lungo racconto della risalita dal crepaccio di Joe Simpson e dell'odissea sul ghiacciaio, per scendere fino a valle, sempre strisciando per terra, poiché la gamba rotta non lo sorregge.
Come scrive, in una brevissima introduzione, Chris Bonington, il più grande alpinista inglese, non si riesce a interrompere la lettura di quest'ultima parte, per l'immediatezza della narrazione; Simpson non è uno scrittore di professione, ma potrebbe essere uno di quei personaggi conradiani che, seduti al tavolo di una locanda, raccontano una loro storia, esotica e torbida. La storia di Simpson è anch'essa torbida perché vi s'intrecciano i reciproci sensi di colpa prodotti dal taglio della corda, decreto di morte che Joe ha subìto ma ha anche provocato, con la sua infermità, e che il ritorno, da sopravvissuto, sottrae all'atmosfera della tragicità alpinistica.

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